lunedì 25 agosto 2008

Belfast

Torino, maggio 2008. Vagavo disorientata tra gli stand della tanto osannata Fiera internazionale del Libro. Erano anni che, all’inizio di aprile, mi ripetevo: «Questa volta devo andare». E poi, per ragioni diverse, finivo con il rimproverarmi che: «Anche quest’anno mi son persa il salone del Libro di Torino! Ma l’anno prossimo…»
 
Magicamente, l’anno prossimo giusto è stato quello in corso. Abituata alla Fiera della piccola e media editoria di Roma, Torino mi ha lasciato senza respiro per un’intera giornata. Fortunatamente ero con Fabio, il mio guru in materia di libri, cui toccava l’ingrato compito di frenare la mia ingordigia qualora mi fossi fatta prendere un po’ troppo dall’entusiasmo.
Avevamo già concordato un: «E con questo basta per oggi», quando ci ritroviamo davanti allo stand della Fazi editore. Non che abbia letto tutto ciò che la Fazi pubblica, solo che quello che ho letto mi è sempre piaciuto moltissimo; e poi , come potevo ignorare lo sconto fiera? Avevo l’obbligo morale di acquistare “Eureka street” di Robert Mc Liam Wilson.
Il libro, in edizione tascabile, è rimasto parcheggiato per un po’ a casa dei miei, insieme ad altri volumi comprati in un momento di smania da shopping. Ha subito silenziosamente l’ennesimo trasloco della mia vita e si è ritrovato nella solitudine della nuova libreria nella mia attuale casetta. Il mese scorso mi ha accompagnato a lavoro per un paio di giorni. Nonostante l’incipit invitante e le numerose recensione lette, non c’era nulla da fare. Non riuscivo ad andar oltre pagina 39. 
È  stato ingiustamente accantonato per un po’. Poi, la settimana scorsa, mi è tornato tra le mani e mi son chiesta come diamine avessi fatto un mese prima a non farmi trascinare a Belfast dagli strampalati personaggi di Eureka Street. Quando incontri un libro come questo, infatti, quei 40 minuti di treno che ti separano dal tuo ufficio diventano uno dei momenti più attesi della giornata e, improvvisamente, capisci perché ti piaccia tanto fare la pendolare.

"Questa notte le strade odorano di vecchio e di fatica. L’aria gronda di rimpianti e di desideri. Il tempo non si ferma mai. La città sente il peso degli anni.
 
Per quanto incantata e sfavillante, Belfast parla chiaro. Le bandiere, le scritte sui muri e i fiori sui marciapiedi parlano chiaro. È una città in cui la gente è pronta a uccidere e a morire per pochi brandelli di stoffa colorata. […]
 
Dovreste fermarvi una notte in Cable Street, e mentre il vento vi sferza il viso, ascoltare immobili, in estasi, la voce di un passato sconosciuto. Allora non riuscireste più a staccarvi questa città di dosso. 
In centro e nei quartieri popolari, le strade, come luci nella casa dei vicini, raccontano di gesti, desideri, sofferenze e ricordi.
"L’intera superficie della città pullula di vita. Il terreno è reso fertile dalle ossa dei suoi innumerevoli morti. La città è uno scrigno di storie e di racconti presenti, passati e futuri. È un romanzo. […]
Gli uomini e le donne che vi abitano sono racconti affascinanti, infinitamente complessi. […] È impossibile rendere la grandezza e l’incanto di un’ora nella giornata di un qualunque abitante di Belfast. Nelle città le storie si incrociano e si intersecano, i racconti si incontrano, si scontrano, si fondono e si trasfondono in una Babele di narrazioni." 
(R. Mc Liam Wilson,”Eureka Street”)

“Eureka Street” è Belfast. Non che ci sia mai stata fisicamente ma nel corso dell’ultima settimana ci son stata catapultata. È sufficiente il capitolo decimo (che ho voluto farvi assaggiare) per restare affascinati dalla capitale dell’Irlanda del Nord e dalla capacità descrittiva di Wilson. I protagonisti di “Eureka Street” sono Belfast. Poco conta che siano cattolici o protestanti, sfacciatamente ricchi o estremamente poveri, conservatori o progressisti. Sono impregnati di Belfast. Ruotano intorno agli attentati, alle proteste, ai treni della pace, alla capacità di vivere una vita normale in una città a cui hanno strappato il cuore. E da cui, ciononostante, non riescono a star lontani. 
Arrivi alla fine del libro che proprio vorresti poter uscire con Jake, Chuckie, Max, Deasely. Vorresti andar a prendere una birra con loro, un venerdì sera al Wigwam, e sentirli raccontare le loro improbabili giornate, con tutto l’umorismo che solo un gruppo di sfigati intelligenti sa tirar fuori.
E invece non puoi far altro che rileggerti le frasi più esilaranti del libro, quelle che ti hanno commosso e quelle che ti hanno emozionato. Perché si possono raccontare situazioni tragiche, come l’attentato in Fountain Street, senza necessariamente dover ricorrere a toni patetici e melodrammatici.
Un libro coinvolgente, di quelli che porteresti volentieri sulla famosa isola deserta.

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