venerdì 29 agosto 2008

Donne e potere

Udite, udite, i berci delle arpie son finiti!

«Ma con che sfacciataggine hai mollato un luogo di lavoro con siffatto panorama?», vi starete chiedendo voi.

Eh, lo so! Anch’io ero rimasta ammaliata dal placido fluire del Tevere.  Ma, almeno voi, non lasciatevi incantare dalla vista spettacolare di cui godevo quotidianamente, né dal fatto che, caspiterina!, un contratto nel settore del “cinema e spettacolo” non è mica roba che capita di frequente nella vita dell’italiano medio. 
L’ufficio, che non aveva le sembianze dell’ufficio bensì di uno stravagante appartamento nel cuore di Roma, a metà strada tra il calore del rione Testaccio e la magia di Trastevere, l’estro del capo (anzi, della capa), l’entusiasmo di trovarsi circondato da pellicole, betacam, vhs e una serie di aggeggi oscuri… Mmm, troppe robe affascinanti! Avrei dovuto sentir subito puzza di bruciato. Ma no! È sempre la visione romantica della vita ad avere la meglio!
In fondo, come poteva il tanto favoleggiato mondo del cinema nascondere uomini e donne perennemente sull’orlo di una crisi di nervi, urla, musi lunghi, astrusità, irascibilità? Altroché se poteva! Dagli ultimi nove mesi trascorsi in una società che opera nella post produzione cinematografica ho ricavato un insegnamento: se non si è psicologicamente instabili non si può lavorare in questo settore. 
Il kit di sopravvivenza minimo prevedeva spirito di sopportazione (tanto), dedizione (di più), una manciata di masochismo (q.b.) e un’innaturale tendenza nel disporsi a zerbino e farsi calpestare per bene. Insomma, avere stomaco! Solo che a me era venuta la gastrite e la posizione a zerbino non è mai stata una delle mie preferite. Che dovevo fare? Sottostare in silenzio e, stoicamente, resistere? Gentilissimi, grazie, non ho ancora ben chiaro cosa farò da grande ma non credo il martirio faccia per me.
No, via, ora non voglio recitar troppo il ruolo della vittima perché non sarebbe corretto; non posso però trattenere un’osservazione impopolare ma seria. Mi spiace aver sperimentato, per la seconda volta, l’incapacità delle donne “al potere” di gestire, apprezzare, valorizzare i propri collaboratori. Instancabili lavoratrici, pignole, perfezioniste, bravissime nel rispettare scadenze e impegni presi, si trasformano poi in insuperabili iene nel rapporto quotidiano con i propri dipendenti e collaboratori, dimenticando che se una società cresce è soprattutto merito di chi ci lavora e non solo di chi ha in mano le redini del gioco.
Forse se, anziché digrignare i denti ed abbaiare, si provasse a comunicare e a trattare i propri collaboratori da esseri umani, ne gioverebbe non solo l’equilibrio psico-fisico del dipendente ma anche l’azienda. Forse basterebbe accendere un sorriso prima di avviare il computer per creare un ambiente di lavoro più sereno e smorzare tensioni e malumori. Piccoli gesti a quanto pare difficili da attuare.
Ferme tutte, simpatiche blogger pronte a rispondermi per le rime!

Non amo generalizzare. So che il mondo pullula (mi auguro) di brillanti cape, così come ci sono numerosi boss (maschi) nei cui dizionari deve ancora far capolino l’espressione “risorse umane”. La mia è solo la considerazione di una qualsiasi trentaduenne flessibile (perché il precariato in Italia non esiste, come ama ricordare la nostra classe dirigente.  Dopo aver tanto studiato, dovremmo pur saper dare il nome giusto alle cose, no? Si chiama flessibilità!), che di lavori ne ha fatti diversi e che ha amaramente constatato che, a volte, gli uomini sono più bravi. Peccato… 

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