giovedì 30 ottobre 2008

Mr.Black and Miss White are now friends

Domenica mattina a casa dei miei. Accendo il PC, lascio Windows a fare i suoi aggiornamenti con tranquillità; vado in cucina. Torno nella mia stanzetta con una tazza di caffè fumante. Sorrido. É buffo vedere il mio moroso in icona darmi il «Buongiorno!»da Messenger. Piacevole, ma non paragonabile al morbido abbraccio in cui mi stringe al mattino, né al tuffo al cuore che provo quando apro gli occhi e lui è lì, accanto a me.
Controllo la posta: un mio ex ex collega di una vita fa mi ha scovato su facebook e vuole che confermi di conoscerlo. Un po' perplessa, clicco sul link. Diverse persone sembrano avermi cercato in questo weekend. Così ridivento amica con la maggior parte di loro; anche con nomi di cui avevo dimenticato l'esistenza. A dirla tutta, mi ritrovo ad essere amica di persone che se c'eravamo perse di vista un motivo c'era... Già; com'è che non ho cliccato sul tastino “ignore” come sarebbe stato giusto?
Scopro di aver molti amici in giro per il mondo. Scopro che qualcuno si è fidanzato, qualcuno s'è lasciato, qualcuno ha cambiato città, qualcuno è diventato amico di chi, fino a qualche tempo prima, detestava.
No Barbara, non lasciarti incastrare da questi curiosi meccanismi! Devi solo controllare la posta, verificare un indirizzo e spegnere il PC. Facebook s'illumina di nuovo. Un altro “amico” on line. Torno alla mia posta. 11 nuovi messaggi, 10 dei quali spam ma finiti nella cartella della posta in arrivo. Dimostrazione del fatto che l'antispam funziona alla perfezione! Stabilito che non ho bisogno di viagra, non voglio tentar la fortuna con i vari casinò on line, che non sono interessata a conoscere donnine nè ometti che cambieranno la mia vita, apro l'unica mail utile che mi è stata inviata.
Messenger s'illumina nuovamente: «Guarda guarda chi si vede!» E questa volta è sì un'amica che avevo voglia di sentire. Erano settimane che mi riproponevo di scriverle. Erano settimane che non lo facevo. Negli ultimi mesi, nelle nostre vite ci son state novità rilevanti. Così le mie news si perdono nell'etere, scritte frettolosamente, lasciate andare senza vedere la sorpresa nei suoi occhi. Le sue news invece m'investono mentre si apre un'altra finestra in cui qualcun altro mi sta dicendo “Ciao!”. Sono distratta; non riesco a dar il giusto valore alle sue parole. Messenger non ha le faccine adatte  a mostrare quanto sia felice per lei, ed io non ho righe da rileggere per poter catturare questo momento per sempre.
La conversazione s'interrompe bruscamente. Esco da tutte le chat e spengo il PC. Mi son persa nella rete, dimenticando di fare l’unica cosa che avrei dovuto fare. Un’altra ora e mezza della mia vita polverizzata senza neppure rendermene conto.

Lunedì mattina. Inizia una nuova settimana.  
Il mio collega arriva in ufficio trafelato. Accende il computer ed esulta: «923 amici! Ci siamo quasi! Il traguardo delle 1000 amicizie è dietro l’angolo…»
Di nuovo facebook. Mi perseguita.
A pensarci bene, Facebook sembra essere il perfetto sostituto virtuale dello struscio del sabato sera.
«Ma hai visto il profilo di Elisa? Fidanzata! E da quando? Ma lui chi è?»
«Hai letto il messaggio di Marco? Secondo me, stasera esce con Marta…»
Uno spazio in più per lasciare informazioni senza dire niente.
Da quanto non scrivo più una e-mail vera? E una lettera? Sì, da quanto non perdo un po’ di tempo per scrivere una lettera? Una di quelle in cui si spende un po’ di sé, ci si lascia andare per poi tornare su quanto scritto, per analizzare i propri pensieri senza ridursi alle solite frasette di circostanza.
Facebook riflette questa vita frettolosa: amicizie che si riducono ad un incontro casuale al supermercato, al suono di un clacson quando ci s’incrocia, parole al vento:«Allora ci sentiamo uno di questi giorni con un po’ più di calma». Ma poi la calma sembra non arrivare mai.
E allora, senza voler demonizzare nulla, chè gli estremismi non hanno mai prodotto risultati costruttivi, penso che sarebbe bene vedere i vari social network, Facebook, Messenger, e tutte le altre diavolerie da  internauti per quello che sono. Un gioco.
Un gioco utile e piacevole, fintanto che dà il pretesto per scrivere, per raccontarsi, per far sbizzarrire l’immaginazione, per ricontattare amici che non vedevi da un po’. Senza però permettere alla superficialità d’accaparrarsi un nuovo spazio. Chè i nostri rapporti sono già sin troppo superficiali.

giovedì 9 ottobre 2008

Giorni e nuvole

Ci sono giorni in cui apri gli occhi e sei già stanco,
giorni in cui sorridere è doloroso,
giorni in cui l’azzurro del cielo non basta a farti canticchiare.

Ci son giorni che si svegliano col magone,
un senso di vuoto senza un perchè.
Son solo giorni…

mercoledì 8 ottobre 2008

Diari

Roma, Villa Celimontana, primo Festival della letteratura di viaggio. “Il mestiere del reporter”, intervengono Ettore Mo, Paolo Rumiz, Stenio Solinas, Angela Staude Terzani.
Fresca serata di fine settembre, venerdì per giunta, giornata in cui, solitamente, la mente è affannata e insofferente, poco interessata a ricevere nuovi input. Non che di questo Festival della letteratura di viaggio se ne sia parlato granché ma, tanto che ci sono, un salto potrei pure farlo. In fondo è un’altra occasione per ascoltare Ettore Mo, i cui reportage hanno sempre il pregio di farmi volar via da questo Paese.
Non so bene cosa mi aspettassi, so però che quanto ascoltato ha avuto un benefico effetto sul mio cervello, svegliandolo dal torpore del venerdì. Stamani alcune di quelle frasi, pronunciate ormai diversi giorni fa, mi son passate davanti ed ho sentito il bisogno di appuntarle.
Si è parlato di viaggi, di diari, del perché dello scrivere, del ruolo del reporter: osservazioni tanto semplici quanto veritiere, solo che hai la sensazione che se queste riflessioni non le butti giù subito, nel momento stesso in cui vengon dette, le perderai per sempre.
Il Diario. Sì, ricordo il primo diario segreto che ricevetti in dono una manciata di anni fa. Già, c’era scritto proprio così, “Diario Segreto”. Avevo otto – nove anni e non capivo esattamente cosa potesse esserci di così segreto nella mia vita da dover esser racchiuso in quel quadernetto rosa, dalla copertina rigida, con tanto di lucchetto e chiavetta. E poi, dove diamine avrei potuto nascondere quella chiavetta? Alla fine, decisi di dare un nome a quel diario. In fondo, se doveva custodire i miei segreti e se doveva assumersi la responsabilità di essere un amico fidato, mica potevo rivolgermi a lui con un banale “caro diario”? Mi lambiccai il cervello per un po’: non era mica consono per una femminuccia raccontare i pensieri più intimi ad un maschietto. Nient’affatto! Fu così che il mio primo diario diventò Rose, l’amichetta del cuore.
Com’è che son finita a raccontare questa storia? Ah, già, seguendo i pensieri della Staude Terzani, moglie di Tiziano Terzani. Quando le è stato chiesto perché sia così importante annotare la propria vita in un diario, tra le varie motivazioni, ha candidamente osservato: “Per non dimenticare”.

“Quando vi chiederanno: «Com’era il Festival?», ve ne verrete fuori con un «Bello».
Sì, ma perché? Cosa c’era? «Gli alberi», risponderete voi prontamente. «E poi c’erano Ettore Mo e altri reporter che parlavano dei loro viaggi e delle loro esperienze». E questo è tutto.
Il resto sarà già volato via, perché la memoria è labile.
E poi il diario serve a riorganizzare le proprie idee per capirle. Ed anche un po’ per rielaborarle. Tanti libri sono nati da semplici diari, da appunti di viaggi. C’è chi sostiene di viaggiare per scrivere”.

Ho pensato a quale fosse la mia idea di diario, rimpiazzata oggi, a volte, dal blog. Ho sempre scritto per non dimenticare. Ma anche un po’ per romanzare la mia vita. Quando racconto, inevitabilmente aggiungo e tolgo elementi che avrei voluto accadessero o non accadessero. Così finisce che quando mi rileggo a distanza di anni, l’immaginazione è diventata parte della realtà: non so più cosa sia accaduto e cosa sia stata solo sognato. Ma ormai è stato scritto, è diventato parte inscindibile del vissuto.
Anch’io scrivo per capire. La realtà è troppo complessa da gestire. Le immagini si sovrappongono, i pensieri si affollano, le parole rimbombano e tu non sai più cosa stia accadendo intorno a te. Scrivere allora è come fare ordine su una scrivania su cui per giorni e giorni hai accumulato giornali appena sfogliati, articoli ritagliati e lasciati lì in attesa d’esser archiviati, bottigliette d’acqua vuote, tazze macchiate di tè. Le cose vanno selezionate e messe al loro posto. Solo allora si potrà riprendere a lavorare.
Così fa la scrittura. Sintetizza alcuni pensieri, ne amplifica altri, ti fa soffermare e approfondire alcuni temi e cestinarne altri. Torna l’ordine.
Solo allora si può ricominciare a guardare la realtà con occhi diversi.