mercoledì 25 novembre 2009

L'Avvento

Premessa. La TV a casa nostra non si vede granché. Fino a pochi giorni fa, un vecchissimo televisore, di quelli che puoi tranquillamente piazzare sul frigorifero tanto è piccino e leggero, rispondeva perfettamente alle nostre esigenze. Va be’, le immagini erano un po’ sfocate ma dipendeva dall’assenza dell’antenna. Comunque, per veder la Rai non ne avevamo bisogno. Quindi Report, Che tempo che fa, qualche volta Le Storie, interessante programma condotto da Augias, e Ballarò erano garantiti. Raramente ci lasciavamo ingoiare dal divano della sala per accendere il televisore dal megaschermo, con ancora attaccato l’adesivo del Digitale terrestre, che mio marito, in uno dei suoi rari attimi di follia, ha acquistato un paio d’anni fa.
I fatti. Gli abitanti della regione Lazio da mesi non fanno che sentir parlare dell’avvento del Digitale terrestre, di quanto migliorerà la nostra vita grazie ad una scatoletta chiamata decoder e del fatto che i benefici saranno tali che, poco importa se toccherà sborsare una cinquantina d’euro per un decoder decente, e altre decine d’euro per il possibile intervento del tecnico per la sintonizzazione dei canali e ancora un altro centinaio d’euro per l’intervento dell’antennista perché potrebbero saltare alcune frequenze… Poco importa se tutto questo dovesse accadere perché i vantaggi saranno tali da farci ringraziare quotidianamente il dio delle telecomunicazioni per averci aperto questo mondo.
A maggio, i miei nonni ultraottantenni sono entrati nel panico, temendo di dover dire addio a Jerry Scotti. Poi la mia mamma gli ha fatto notare che l’Avvento avrebbe riguardato prima la capitale e, solo a novembre, la restante parte del Lazio. E poi, data l’età e il basso reddito, avrebbero potuto usufruire del bonus di 50 euro, più che sufficienti per acquistare un buon decoder. Già, peccato che per potersene avvalere bisogna spenderne almeno 80. Così quei 30 euro (il costo minimo dei decoder in circolazione) gli anziani con basso reddito devono comunque sborsarli.
Ai primi di settembre l’ansia è salita. All’inizio o alla fine della trasmissione preferita, un banner rosso segnalava che dal 16 novembre al 30 il Miracolo si sarebbe completato. Non c’era Tg che non parlasse di questo. Poi, per fortuna, il caso Marrazzo ha avuto la meglio per qualche giorno sulla faccenda del Digitale e, anche noi, abbiamo avuto un attimo di tregua (sigh!).
Sabato 14 novembre alla Coop i due terzi dei carrelli con cui ci si scontrava proteggevano la magica scatoletta. Lo spazio riservato ai decoder e ai televisori era maggiore di quello riservato all’intero reparto gastronomia. Mio marito ed io decidiamo di rinunciare al vecchio amato minitelevisore e di cominciare a usare più spesso l’altro. È troppo ingombrante per poter stare nella nostra microcucina, ci toccherà cambiare un po’ le abitudini ma pace! Noi il decoder non lo compriamo.
Conclusioni. Mentre la radio riconquistava il potere in cucina, mio marito ha iniziato a giocare con il telecomando del televisore figo in sala, selezionando la modalità digitale, sintonizzando e risintonizzando i canali. Poi ha iniziato ad innervosirsi, quindi a smadonnare. Alla fine si è rassegnato a non vedere la Rai. Già, l’unico canale che prima vedevamo addirittura senza antenna è stato ingoiato dal Digitale.
Le reti Mediaset però si vedono a meraviglia!

domenica 22 novembre 2009

Le regole

L’ultima pagina di “Internazionale” riporta alcune delle vignette più ironiche pubblicate sui principali giornali di tutto il mondo. Mi cade l’occhio sul trafiletto a fondo pagina.
Le regole. Compiere quarant’anni.

Io, approssimando per difetto, sono più vicina ai trenta, ma è meglio essere preparati. Il punto 5 afferma: “Si dice che ognuno nella vita dovrebbe fare tre cose: scrivere un libro, fare un figlio e piantare un albero”.
Mmm… forse è meglio partire dall’albero.

giovedì 5 novembre 2009

Avrei preferenza di no

[…] lo chiamai, spiegando in fretta cosa desiderassi da lui, ovvero, che esaminasse con me un breve documento. Immaginate la mia sorpresa, meglio, la mia costernazione, quando, senza muoversi dal suo privato, Bartleby con voce singolarmente mite, ma ferma, replicò: “Avrei preferenza di no.”
Rimasi per qualche istante seduto in perfetto silenzio, cercando di riavermi dallo sbigottimento che m’aveva preso. […]

Herman Melville, Bartleby lo scrivano, trad. di G. Celati

Ecco piacerebbe anche a me, giusto per un giorno, un giorno solo, seguire l’esempio dello scrivano di Melville. Fosse altro per osservare la reazione di chi si trova di fronte ad un «Avrei preferenza di no».
«Biglietto, prego». Con lo stesso volto composto e gli occhi miti di Bartleby, guarderei il controllore e: « Avrei preferenza di no», risponderei. Forse il controllore farebbe finta di niente e penserebbe ad una nuova forma di protesta contro ritardi e sporcizia dei treni. O forse mi guarderebbe turbato.
«Può terminare questa pratica, per favore?», ovvio che se è il capoufficio a formulare la domanda, la risposta è una pura formalità. Invece, a sorpresa: «Avrei preferenza di no». A stento riesco ad immaginare l’espressione impietrita dal datore di lavoro. E quanto sarebbe piacevole pronunciare tanti «Avrei preferenza di no» di fronte a quelle che sono le incombenze quotidiane, quelle piccole cose che siamo così abituati a sbrigare da non renderci neppure più conto di quanti doveri soffocano le nostre giornate.

In verità, il comico atteggiamento di Bartleby ci strappa un sorriso amaro perché dietro i suoi gesti lenti, la sua imperturbabilità, i suoi silenzi si nasconde il suo rifiuto per il mondo, per le inutili pressioni a cui si è sottoposti continuamente. Il silenzio di Bartleby rappresenta il diniego verso l’impegno, la necessità di correre, fare fare, quando invece si ha bisogno di così poco spazio e così poche cose per poter vivere. Un rifituo che può spingere a commettere gesti estremi.
O forse Melville aveva in mente tutt’altro mentre scriveva quello che tra i suoi racconti è certamente il più celebre nonché quello che, ancora oggi, ci fa tanto riflettere.