venerdì 22 gennaio 2010

L'arte di correre

Ho scoperto che in Italia i seguaci di Haruki Murakami, quelli che corrono in libreria per poter acquistare l’ultimo suo libro, sono moltissimi. Io non sono tra questi. Non perché ce l’abbia con la letteratura giapponese o perché non mi piaccia lo stile dello scrittore. Per pura ignoranza: non mi è mai capitato di leggere le sue opere in precedenza e non ne sono mai stata attratta. Ho acquistato “L’arte di correre” per la mia passione verso il mondo della corsa non per la prosa di Murakami. Però non me la sento di affermare, come fa l’Observer nella quarta di copertina, che “la voce narrante convince per schiettezza e vivacità e una volta conclusa la lettura si resta incantati dalla sua grazia semplice e genuina”. Il libro è scorrevole, qualche volta un po’ troppo ripetitivo ma, essendo una sorta di raccolta di memorie, come lo stesso Murakami la definisce, credo che le ripetizioni siano volute. L’intento è quello di ribadire l’importanza della corsa nella vita dell’autore e la necessità di esercitarsi costantemente con tanto impegno perché potenziando le capacità fisiche si può dar il meglio nella scrittura. 
Sono arrivata alla corsa per caso. Ero all’ultimo anno delle scuole medie. La nostra scuola partecipava a una sorta di torneo tra gli istituti locali e tutti eravamo chiamati a scegliere la disciplina in cui gareggiare. Scelsi la corsa campestre perché mi sembrava l’unica cosa facile in cui potermi cimentare. Iniziai a correre con andatura lenta, respiro regolare, infischiandomene delle compagne che mi superavano rapidamente. A metà percorso iniziai ad accelerare, alcune delle ragazze che erano partite sfrecciando si erano già arenate. Arrivai per prima, staccando senza difficoltà le altre. Da allora la corsa non mi ha più abbandonato.
Per natura, anch’io come Murakami, mi son sempre considerata una persona lenta. Ho bisogno di un po’ di tempo per fare miei alcuni concetti, leggo lentamente, torno spesso su ciò che ho letto, scrivo di getto ma poi ho bisogno di tempo per correggere e rivedere quanto scritto. Prima di capire se un libro, un film, una persona mi piacciono c’impiego un po’. Ho bisogno di metabolizzare alcune informazioni. È sempre un processo lungo ma, una volta iniziato il percorso, avanzo senza esitazioni per la mia via. Con la corsa è la stessa cosa. Non sono per i 100 metri, i percorsi veloci in cui dai tutto e subito. Sono per le lunghe distanze. Ho bisogno di sentire prima il mio corpo, la reazione dei miei muscoli, la regolarizzazione del mio respiro e poi posso andare. Salite, discese, percorsi misti e anche uno sprint finale quando so di essere vicina al traguardo.  
L’attività fisica è diventata una parte fondamentale della mia vita. Ho scoperto che correre mi aiutava a sorridere, a ponderare le mie decisioni, ad affrontare con più ottimismo gli esami universitari, le discussioni con i miei genitori, i colloqui di lavoro, il terrore di non farcela nei momenti critici. Correre è esercizio fisico ma, prima ancora, alleggerimento della mente e dell’anima. È come se, metro dopo metro, le preoccupazioni evaporassero fino a raggiungere un momento di assoluto non pensiero. La mente è sgombra, si ossigena e può riprendere ad analizzare le cose in modo logico, senza la faticosa sovrapposizione dei pensieri più disparati. E poi è uno sport piuttosto economico che t’accompagna dappertutto. Si corre in genere da soli ma non ci si sente mai soli. Il paesaggio cambia, la città assume colori diversi, e se poi si ha la fortuna di correre in piccoli borghi o in campagna l’insieme d’immagini che si immagazzinano danno l’energia sufficiente per affrontare lunghi periodi bui.
Murakami racconta le sue maratone. La lunga preparazione, i viaggi per raggiungere città diverse, le avversità meteorologiche, le delusioni, gli insuccessi. Le sue parole m’hanno dato un ulteriore incentivo per trasformare quell’attività, che ormai pratico costantemente da anni solo per piacere personale, in qualcosa in più. La voglia di mettersi alla prova, cercare nuovi stimoli, confrontarsi con un traguardo da raggiungere. O, semplicemente, il piacere di correre una volta l’anno in una città diversa, ora che la vita mi sembra così immobile.
Visto dall’esterno il nostro modo di vivere apparirà forse insulso, privo di fondamenta e di significato. Penso che sia una cosa alla quale dobbiamo rassegnarci. Ma, anche ammettendo che compiamo solo una serie di atti vuoti, resta il fatto reale che ci impegniamo. Non importa se otteniamo dei risultati o meno, se facciamo bella figura o no, in fin dei conti l’essenziale, per la maggior parte di noi, è qualcosa che non si vede ma si percepisce nel cuore. E spesso le cose che hanno veramente valore si ottengono attraverso gesti inutili. Le nostre azioni non saranno forse proficue ma di sicuro non sono stupide. […]

Come vengano giudicati il tempo che ottengo in gara e il mio posto in graduatoria, come venga considerato il mio stile, è di secondaria importanza. Ciò che conta per me, per il corridore che sono, è tagliare un traguardo dopo l’altro, con le mie gambe. Usare tutte le forze che sono necessarie, sopportare tutto ciò che devo e alla fine essere contento di me. Imparare qualcosa di concreto – piccolo finché si vuole, ma concreto – dagli sbagli che faccio e dalla gioia che provo. E gara dopo gara, anno dopo anno, arrivare in un luogo che mi soddisfi.

venerdì 8 gennaio 2010

Segnali

Capisci che qualcosa sta cambiando nel momento in cui sul comodino compaiono magicamente riviste tipo Cose di casa e Casa in fiore.
Capisci che la costruzione di un nuovo nido è in corso quando l’icona più cliccata sul desktop del PC è quella relativa al programmino dell’Ikea “per progettare e ottimizzare al meglio i propri spazi”.
Capisci che qualcosa di strano sta accadendo quando vedi tuo marito trasognato che continua ad accarezzare una parete tinteggiata da qualche giorno. È ancora affetto dalla sindrome del pennello. Ma non c’è da preoccuparsi. Lo conosci abbastanza bene da sapere che presto la sindrome di cui sopra sarà sostituta da quella dell’aggregatore di mobili, da quella dell’elettricista, del curatore di dettagli d’arredo…

giovedì 7 gennaio 2010

Un po' di colore

C’è aria di trasloco in casa valigiesogni.
Tra studio, lavoro, volontariato, precariato, questo è appena il quindicesimo che affronto, escluse, ovviamente, le situazioni in cui, fra un momento di disperazione e l’altro, sono tornata a casa dei miei.
È la prima volta però in cui trasloco con qualcuno (il signor valigiesogni, ovviamente). E la prima volta in cui mi insedio in un appartamento non ammobiliato. Novità significative che annullano quella che io credevo essere una discreta esperienza in materia di trasloco.
Così l’anno è iniziato tinteggiando. Già perché, a detta del signor valigiesogni, “fare le cose da sé dà più soddisfazione”. Indubbiamente, però, al momento, il mio polso destro non la pensa allo stesso modo.
Stamane, mentre fuori la pioggia cadeva incessantemente, nella nostra futura cucina splendeva il sole; giallo, giallisssimo: un calore che più caldo non si può. Nello studio, lentamente, arrivava la primavera, d’un verde da far invidia ai prati irlandesi sul finire della stagione delle piogge. Poi il glicine iniziava a riempire la stanza da letto e l’azzurro a inondare il corridoio. 
Stasera, accovacciata nella sala, tanto per non risparmiare neppure le ginocchia, ho iniziato a raschiare gli schizzi di vernice sul battiscopa. Fuori, un cielo indecifrabile. Si direbbe sereno ma dei nuvoloni scuri a forma di canguro saltellano sollevando un vento gelido.
Le lucine intermittenti disegnano il perimetro degli appartamenti dei nostri futuri vicini. Non un suono, non una voce, non un profumo di cucina. Solo lucette colorate. Qualcuna è fulminata. In fondo oggi è l’Epifania che tutte le feste porta via.