giovedì 20 gennaio 2011

Campagna senza tempo - Città moderna

 Mio papà avrebbe tanto desiderato una figlia (femmina), architetto. La femmina arrivò subito, peccato avesse seri problemi nel destreggiarsi con una matita in mano.
Alle scuole medie me la cavavo, senza brillare, nel disegno tecnico ma le ore di disegno artistico mi gettavano nel panico. Ancora oggi, ho difficoltà nel disegnare la casetta con l’alberello.  Non ho dubbi: i miei disegni potrebbero costituire materiale interessante per uno psicologo. Nello sconforto senza prospettive/a delle lezioni di quella che sarebbe dovuta essere “Educazione artistica”, giunsero gli impressionisti. E io pensai che non tutto, in fondo, fosse perduto.
La folgorazione arrivò con Impressione, sole nascente di  Claude Monet; poi fu la volta de I papaveri, tutta la serie delle Ninfee e via dicendo. La scala cromatica, i giochi di luce, le sfumature della natura, i borghi che mutavano al mutare dei raggi del sole. Quella era Arte! Basta con Madonne, Angeli e rappresentazioni dell’Antico Testamento. E fu tutto un acquistare di tele e colori ad olio, tempere e pennelli. Mani impiastricciate e riproduzioni di cipressi, covoni e stagni. Chiaramente, il genio artistico fu una scintilla che si spense rapidamente così come s’era accesa. In compenso, però, le ore di Educazione Artistica seguite al liceo dalle (ahimè, poche) lezioni di Storia dell’Arte divennero così piacevoli da chiedermi come avessi fatto a non appassionarmi a tutto ciò prima.
 
Oggi, c’è la consapevolezza di un’abissale ignoranza in ambito artistico ma anche una certa smania nel visitare mostre più o meno pubblicizzate. Dagli inizi di ottobre a Roma e dintorni  c’è tutto un fermento per l’esposizione “Vincent van Gogh. Campagna senza tempo – Città moderna” presso il Complesso del Vittoriano. Così, domenica  scorsa, il signor valigiesogni ed io ci siam fatti la nostra oretta di coda per ammirare quelli che vengono pubblicizzati come gli "oltre settanta capolavori tra dipinti, acquerelli e opere su carta del maestro olandese, e circa quaranta opere dei grandi artisti che gli furono di ispirazione tra i quali Millet, Pisarro, Cézanne, Gauguin e Seurat".
Qualche informazione qui

Non ho le competenze per poter discettare sul genio di van Gogh e su quanto alcuni acquerelli siano in grado di teletrasportarti nel sud della Francia, tra contadini e paesaggi rurali ottocenteschi. Della vita tormentata di van Gogh avevo una vago ricordo: diciamo che rammentavo solo la vicenda del taglio dell’orecchio. La mostra ha il pregio di far emerge i lati contraddittori della personalità dell’artista: il suo amore per la campagna, come ambiente fisso e immutabile, e il suo legame con la città, centro della vita moderna e del suo rapido movimento; il desiderio di una vita ancorata ai valori veri, sebbene ruvidi, della civiltà rurale che si scontra con l’attrazione per la vivacità culturale di Parigi.    
Forse, se fosse stato realizzato e proiettato un video per raccontare la biografia dell’artista, anziché utilizzare tanti pannelli pieni di parole e disposti in modo un po’ confusionario, si sarebbe creata meno ressa nei ridotti spazi espositivi. 
La mostra è stata prorogata fino al 20 febbraio: ne deduco che ci sia stata una buona affluenza di pubblico. Ottimo. Resta il fatto che reputo eccessivo pagare un biglietto d’ingresso di 12 euro. Qualche riduzione c’è (e noi ne abbiamo usufruito) ma ho pensato alla classica famiglia di quattro persone con adolescenti al seguito. Insomma, spendere una cinquantina d’euro per il solo ingresso, senza considerare neppure l’eventuale supporto dell’audio guida, non mi sembra una politica volta ad incoraggiare la diffusione e la conoscenza dell’arte tra i più.    
Sì, l’anno è iniziato in modo polemico ma, che volete?, con tutto ciò che tocca digerire quotidianamente, è bene non perdere l’abitudine di esprimere il proprio punto di vista. 

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