martedì 1 febbraio 2011

Memorie di famiglia

Arrivare alle soglie dei trentacinque anni con ben quattro nonni in vita è una gran fortuna. Se ci rifletti, hai la consapevolezza di essere un privilegiato, ma sei così avvezzo a sapere che i tuoi nonni sono lì, da sempre, che neppure ti lasci sfiorare dall’idea che, prima o poi, anche loro lasceranno questa terra. Sono persone energiche, ne hanno viste di ogni; mio nonno paterno, a ottantasette anni, parla ancora della campagna in Africa, del referendum per “cacciare il Re”; i miei nonni materni, più cagionevoli di salute, hanno affrontato con il sorriso lunghi ricoveri ospedalieri e malori vari. «Sono così abituati ad entrare e uscire dagli ospedali che la prendono con allegria. Neanche andassero in villeggiatura», scherza mia mamma. Ad un certo punto, ti convinci del fatto che siano immortali.  
Una decina di giorni fa, è venuta a mancare la mia nonna materna. Il cuore aveva iniziato a giocarle brutti scherzi. Risoluta come sempre, ha autorizzato l’intervento per l’applicazione di più bypass (quattro), “perché così non ce la faccio più. Una volta deve essere”. Nessuno si è stupito della sua decisione, così come nessuno si è stupito dalle perfetta riuscita di un intervento tanto delicato sul corpicino gracile di una ottantenne.
Forse quel corpo, però, s’era stancato dell’andirivieni da un ospedale all’altro e il 31 dicembre, sebbene il cuore avesse ripreso a battere e il cervello a funzionare, ha deciso di fermarsi. Fegato e polmoni hanno iniziato a scioperare e si sono aperte le porte della terapia intensiva e, con esse, un inutile accanimento terapeutico che forse è servito solo a prolungare le sue sofferenze e far star male dentro i suoi figli e mio nonno.
 «Compito della Medicina è tentarle tutte, fino alla fine, per cercare di guadagnare qualche giorno in più». Non so come si faccia a pensare che quel mese in più, con un corpo inerme attaccato a così tanti macchinari, sia stato un mese di vita guadagnato.
Mio nonno, a ottantadue anni, per un mese si è seduto nell’auto dei figli, ha percorso duecento chilometri, tra l’andata e il ritorno, per poter accarezzare tutte le sere sua moglie. Indossava guanti, mascherina e camice verde e aspettava pazientemente il suo turno. Mio nonno che ha baciato dolcemente quel corpo privo di vita, che ormai non somigliava più a quello di sua moglie, avvolto in un lenzuolo, chiuso da una targhetta con un numero e l’ora del decesso.
Mio nonno che, fortunatamente, nonostante l’apparecchio acustico sente pochissimo. Così almeno gli sono state risparmiate le offerte di preventivi da parte del personale dell’ospedale che già parlava dei costi delle agenzie funebri quando mia nonna era ancora in vita. Purtroppo non gli è sfuggito il fatto che le sale di commiato di quell’ospedale non sono accessibili al pubblico (a quanto pare), ma se dai una cinquantina d’euro alla “persona giusta” il divieto viene meno. Anzi, se alzi la posta, ti riservano addirittura una cappella. Niente di strano nel vedere “la persona giusta”, un semplice dipendente pubblico, mentre parcheggiava un suv da sessantamila euro o su di lì… Il tornaconto economico non risparmia neppure la morte.

Alcuni ritenevano che mia nonna fosse una donna cattiva, dura di cuore.
Mia nonna era una donna d’altri tempi, ancorata ai suoi valori e alle sue tradizioni, non aveva timore nel professare le sue idee a voce alta e nel difenderle. Profondamente religiosa, non si era fatta intimidire dal parroco della sua chiesa, accusandolo di voler ricavare profitti economici lì dove non c’era nulla su cui lucrare. Avevano finito con il discutere, ma lei non aveva fatto un passo indietro. Sapeva ciò che diceva.
Non aveva battuto ciglio ma so che la notizia del mio matrimonio civile l’aveva addolorata. A modo suo, però, aveva compreso le nostre ragioni e non aveva esitato nel regalarmi una delle coperte del suo corredo. «È colorata, come piacciono a te. L’ho messa sul letto solo il giorno del matrimonio di tua mamma. Sei la prima nipote femmina, la prima a sposarsi, e voglio che la conservi tu, come ricordo di tua nonna».
 Il suo ultimo Natale l’ha trascorso in ospedale, nell’attesa dell’intervento. Da lì ha commissionato l’acquisto del regalo di Natale per i figli e ha chiesto che qualcuno le portasse parte della sua povera pensione, «perché anche se sono qui, è Natale, e i nipoti che vengono a trovarmi si aspettano di ricevere un regalo. Piccolo ma è un pensiero per tutti. In parti uguali».
Cara nonna, se avessimo potuto t’avremmo risparmiato quel mese di inutili sofferenze. Non eri cattiva, avrai solo commesso qualche errore, come noi tutti del resto; eri una donna grintosa dal corpo esile, restia nel manifestare i propri sentimenti ma non per questo priva di cuore. Se chiudo gli occhi, ti vedo col tuo grembiule stretto in vita, affaccendata tra i fornelli e il lavello, e il tuo solito: «Ma non prendi nulla? Dai, almeno un caffè!»
Ciao nonna. 

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