venerdì 11 marzo 2011

Inquietudine

Sabato scorso, all’imbrunire, un paio di balordi hanno tentato di entrare nel nostro appartamento forzando la finestra della cucina. I due simpatici ometti di scuro vestiti non si son dati neppure la pena di verificare che in casa non ci fosse nessuno. Puntando sulla quantità e non sulla qualità degli appartamenti svaligiati, forti di un proficuo pomeriggio trascorso violando domicili altrui, prima di concludere la serata hanno pensato bene di fare una sosta nel nostro condominio. I signori del primo piano erano fuori casa; noi, invece, eravamo accoccolati sul lettino, ciascuno con il suo libricino tra le mani, la quiete che preclude il giorno di festa, le luci soffuse e la lavatrice che faceva la centrifuga.
Un rumore strano ha interrotto le nostre letture; il tempo di accendere la luce del corridoio e gli acrobati saltellando come in una cartone son volati giù. Ho avuto appena il tempo di vedere due di loro che correvano via lasciandomi incapace di emettere alcun suono. Ho guardato incredula il signor valigiesogni che con in mano un pezzo di legno scardinato dalla finestra continuava a ripetere: «Stavano per entrarci in casa». Solo dopo qualche minuto le mie gambe hanno iniziato a tremare ed ho pensato a cosa sarebbe potuto accadere se ci fossero piombati in camera da letto senza che ce ne accorgessimo. E ho pensato anche a tutte le notti in cui sono rimasta a casa da sola e alla tranquillità con cui, a volte, ho lasciato gli avvolgibili alzati ma le finestre aperte per far passar un po’ d’aria. «Tanto viviamo in un paesino così tranquillo…».
I carabinieri sono arrivati una quarantina di minuti dopo la nostra telefonata. Un po’ troppo, considerando che il Comando dista cento metri da casa nostra. Il povero carabiniere ne sapeva più di noi dato che aveva trascorso il pomeriggio a correre da un appartamento all’altro. «Signora, capisco lo spavento ma si può ritenere fortunata. Questi qui, oggi, hanno portato a casa un bel bottino. Televisori, stereo, gioielli, contanti, in un appartamento hanno sradicato la cassaforte dalla parete. Non erano solo due. Purtroppo noi abbiamo potuto far poco… Non è cattiva volontà ma – abbassa lo sguardo, quasi vergognandosi – loro sono professionisti, noi siamo pochi e senza mezzi. Il territorio è troppo esteso, i furti nelle villette più isolate sono frequenti, e il paese resta scoperto. Poi si verificano periodi come questi, con i furti in pieno giorno nelle zone centrali e noi non sappiamo più cosa fare. Le risorse sono quelle che sono, cercate di capirci…». Chissà perché sento l’eco delle parole del Presidente del Consiglio che da ragazzo sognava di fare il carabiniere. Si sarà reso conto delle condizioni in cui versa l’Arma?
Di tutta questa storia resta l’agitazione nell’aprire la porta di casa ogni sera e un rapido sguardo per verificare che tutto sia in ordine. Resta quell’inquietudine nel vivere la casa. Le luci accese, la radio accesa, il rumore che si sostituisce al silenzio del proprio rifugio. Resta il disagio nell’alzare l’avvolgibile per poggiare la spazzatura sul balcone e la costante sensazione che ci sia qualcuno là fuori. Resta il sonno spezzato, il dormiveglia che sostituisce il riposo. Restano i timori dei vicini, le ipotesi, il luogo comune che “tutti ‘sti stranieri che girano qui intorno”… e tu in quel luogo comune non vuoi caderci ma non puoi nascondere a te stessa che anche tu ci hai pensato.
È crollato il mio teorema: se non possiedi oggetti di valore, vivi sereno e nessuno verrà ad importunarti. Non avevo considerato il fattore “intanto vediamo quello che c’è e per farlo irrompiamo nelle vite altrui”. 
Tra qualche mese mi passerà perché non si può vivere nell’ansia perenne, però è amaro ingoiare questo miscuglio di rabbia e impotenza.

Nessun commento:

Posta un commento

Il tuo commento sarà visibile dopo l'approvazione.