martedì 26 luglio 2011

Bibliodiversità?

E così, alla fine, è stata approvata la legge Levi sul prezzo del libro. 
Riepiloghiamo: la legge limita al 15% lo sconto che le librerie, comprese quelle on line, possono fare ai propri clienti e vieta alle librerie di fare delle promozioni sui loro stock, tranne situazioni particolari (libri pubblicati da più di venti mesi e che non siano stati movimentati da sei mesi, o una cosa del genere).
Le promozioni possono essere proposte solo dagli editori, che sono tenuti a offrirle con le stesse condizioni a tutte le librerie, incluse le più piccine. Le promozioni fatte dagli editori, inoltre, non sono permesse durante il mese di dicembre, non possono essere ripetute nell’arco dell’anno solare e non possono superare lo sconto del 25%.
Dai vari articoli dei quotidiani ho poi appreso che una legge sul libro in Italia era fondamentale per ridurre lo squilibrio fra grandi gruppi editoriali – quelli in grado di fare promozioni – e l’editoria indipendente. Che così facendo verrà garantita la massima pluralità di produzione (case editrici) e capillarità di diffusione (librerie indipendenti, edicole, grande distribuzione). Insomma, quasi tutti parlano di maggiore circolazione delle idee e della garanzia della bibliodiversità. 
Bene.
Dopodiché leggo che alcuni piccoli editori non sono affatto a favore di questa legge, anzi…
E mi fermo a riflettere sull’intera faccenda:

    1. Poiché il libro non è, nel medio termine, un bene deperibile, “da consumare preferibilmente entro il…”, non vedo la necessità di svendere il prodotto prima che vada a male. Se il prezzo di copertina fosse equo, la promozione periodica sarebbe inutile.

    2. Poiché il libro, così come definito dal legislatore, è un bene fondamentale per la cultura, non dovrebbe passar di moda, quindi non dovrebbe essere soggetto a saldi come gli shorts che, magari, il prossimo anno saranno out.

   3. Riprendendo il punto 1, se il prezzo di copertina del libro fosse un importo adeguato, aspetteremmo tutti il 35% di sconto che ci regala Amazon?

    4. Osservazione banale: poiché nel mercato del libro, in termini economici, la distribuzione incide non poco, perché non “garantire” un prezzo più basso a chi acquista direttamente dall’editore? «Perché così verrebbero danneggiati i distributori e le librerie», mi risponderete voi. Può darsi. Però potrebbe essere una boccata d’ossigeno per il piccolo editore che pubblica opere di qualità.

    5. Osservazione ancora più banale: ma siamo sicuri che una legge del genere sia davvero utile? E se la libreria on line o i grandi gruppi editoriali moltiplicassero i già numerosi buoni per gli acquisti successivi o dessero la possibilità di scegliere un libro in regalo, che so io, per ogni acquisto superiore ad un importo x? In fondo sarebbe un regalo, mica una promozione!    
Non so, è che certi interventi normativi non mi convincono. 
Confessione finale: io compro anche su Amazon. Ecco, l’ho detto. Ora qualcuno smetterà di rivolgermi la parola per questo, ma io non mi sento minimamente in colpa.
Acquisto su Amazon così come acquisto direttamente dalla casa editrice o dalla libreria. Acquisto molti libri in più di quelli che riesco a leggere e forse questa legge aiuterà a moderare la mia smania di possesso. Leggo che Marco Polillo, editore, scrittore e Presidente dell’Associazione Italiana Editori, mostra grande soddisfazione per una legge che aiuterà le librerie indipendenti a non naufragare e ridarà il giusto posto al libraio.
Il libraio. La verità è che il libraio per passione, quello che ti consiglia cosa leggere, quello che non segue le leggi dettate dal mercato, quello che è lì, in quel mondo costruito a sua immagine e somiglianza, io non l’ho mai incontrato.
Per ragioni logistico-territoriali non ho mai avuto una libreria di riferimento. Da piccola, nel mio paesello c’erano solo cartolibrerie o edicole che vendevano anche libri, ma bisognava ordinarli; e la situazione è rimasta invariata. Nel mio girovagare successivo, tra un trasloco e l’altro, sono passata dalla cartolibreria alla Feltrinelli: non so se sia casuale o se le Feltrinelli siano davvero così numerose, certo è che avendole vicino casa o vicino al lavoro, finivo sempre per acquistare lì. «Pigrizia nel non cercare altre librerie», direte voi. Può darsi.
Ora che sono tornata a vivere in un altro paesello, vedo di nuovo cartolibrerie; accanto all’ufficio romano, invece, c’è un centro commerciale con una piccola libreria di recente apertura. Cercavo Lessico famigliare della Ginzburg e non riuscivo a trovarlo. Chiesi informazioni alla giovane libraia (?) che candidamente mi rispose: «Ha provato tra i dizionari?». 
 
In questo rincorrersi di pensieri sono giunta alla conclusione che, forse, se per fatalità mi fossi imbattuta in un piccolo libraio magico, non avrei prestato grande attenzione a tutta questa diatriba e la legge Levi non avrebbe intaccato le mie abitudini. Forse.
Ma il libro, poi, ne trarrà beneficio? E i lettori?

lunedì 11 luglio 2011

Amo la notte con passione

Fabio è il libraio di fiducia che ciascun lettore desidererebbe avere. Invece lavora in un call center.
Lo squillo del telefono in cuffia: «Assistenza x, buongiorno. In cosa possa esserle utile?», e accanto le pagine culturali dei quotidiani e un racconto di Checov. L’ho conosciuto così, una decina di anni fa, incuriosita da questo tipo che ne combinava di ogni e ci rideva su; lui, con la sua aria scanzonata, lo zainetto in spalla e ogni giorno un libro diverso. Uno di quei personaggi indescrivibili, ben custoditi in un anonimo call center. Un pomeriggio di fine maggio, ho mollato le cuffie e accettato un altro lavoro. Mai rimpianto quell’impiego alienante che ti lasciava senza voce e con pochi soldi in tasca, ma non ho più trovato un ambiente di lavoro con personalità vivaci e dai mille interessi come quelle incontrate in un ufficio così insignificante. 
Naturalmente, l’amicizia è rimasta e si è consolidata nel tempo.
Fabio è l’uomo più privo di senso pratico che abbia mai conosciuto, del tutto incapace di sistemare un mobile o riparare un elettrodomestico; una di quelle persone a cui mai affideresti un’incombenza perché a) lo manderesti in crisi; b) probabilmente farebbe un danno. 
Gli occhi trasognati e i pensieri che vagano chissà dove. Entra ed esce dai romanzi, si perde tra i versi di una poesia, vola sulle note di un valzer. Fabio rappresenta il volto più bello di Roma: quello dei quartieri che hanno ancora un’anima, dai vicoli stretti e i sanpietrini scivolosi, la Roma delle librerie dell’usato in cui si paga solo in contanti; la Roma delle pizzerie “storiche”, con le tovaglie di carta e una cena allegra spendendo pochi soldi.
Fabio è una di quelle persone a cui sei costretto a voler bene. Lui che è disordinato in tutto, custodisce e cataloga i suoi libri con gran precisione. Non gli sfugge quasi nulla: se un libro non l’ha letto è quasi certo che lo abbia sfogliato o gli sia passato tra le mani. Anche i suoi doni sono sempre un po’ speciali.
Qualche giorno fa, ad esempio, una copia di Amo la notte con passione ha traslocato dalla sua libreria alla mia.
Sei micro racconti di Guy de Maupassant racchiusi in un elegante libricino sfornato dai tipi della Mattioli 1885. Bello il formato, la cura editoriale, la piantina in bianco e nero che delinea i boulevard di Parigi.
Un libro che potrebbe essere letto in una pausa tè pomeridiana, ma alcuni racconti sono così intensi da chiedere che si torni su una parola, si sottolinei una frase, si rilegga la pagina.

“Nessuno ci veniva mai, nessuno là dentro aveva mai parlato. Era morta, muta, senza eco di voce umana. Sembra che i muri conservino qualcosa delle persone che ci vivono dentro, qualcosa del loro portamento, delle loro sembianze, delle loro parole. Le case abitate dalle famiglie felici sono più allegre rispetto alle abitazioni dei miserabili. La sua camera  era priva di ricordi, come la sua vita. E si spaventò al pensiero di rientrare in quella stanza da solo, di sdraiarsi nel suo letto, di rifare tutti i movimenti e le faccende di ogni sera. E come per allontanarsi ulteriormente da quel sinistro alloggio, dall’attimo in cui avrebbe dovuto tornarci, si alzò, e ritrovandosi improvvisamente sul viale principale del parco, entrò in un boschetto per sedersi sull’erba…”
   
Non sono storie che lasciano il sorriso, non raccontano la Parigi sfavillante ma entrano nelle solitudini di ciascuno di noi: dal notaio alla signora di provincia, dal contabile all’amico poeta.
 Le pareti di casa amplificano queste solitudini fino a renderle insopportabili. Solo il respiro di Parigi, nella notte, sembra portar un po’ di sollievo.

“Ma quando cala il sole, una gioia confusa mi penetra in tutto il corpo. Mi sveglio, mi animo. Man mano che l’ombra si addensa, mi sento un’altra persona, più giovane, più forte, più vitale, più felice. La guardo infittirsi la grande e dolce ombra discesa dal cielo: sommerge la città come un’onda impalpabile e impenetrabile, nasconde, cancella, distrugge i colori, le forme, circonda le case, le persone e i monumenti con il suo impercettibile tocco. In quei momenti vorrei strillare di piacere come le civette, correre sui tetti come i gatti; e un invincibile desiderio di amare si accende impetuoso nelle mie vene.”    
Ma è una sensazione passeggera, e con le luci dell’alba si svegliano i timori e torna il mal di vivere.

“Ti ho trascinato stasera in questa passeggiata per non tornare a casa, perché adesso soffro terribilmente nella solitudine del mio alloggio. A cosa servirà? Io ti parlo, tu m ascolti, e siamo soli entrambi, fianco a fianco, ma soli.”

martedì 5 luglio 2011

Cartas de Salka

A sfogliare i quotidiani degli ultimi mesi, a guardare i volti degli automobilisti – pendolari, fermi in autostrada in prossimità del casello, si ha la sensazione che non ci sia tanto buonumore in quest’inizio di luglio. E la sensazione non cambia quando si va a fare la spesa o a prendere il caffè. Non so cosa sia questa sorta di stanchezza che offusca gli sguardi e spegne i sorrisi. Sì, l’aria che si respira nel nostro Paese non è delle migliori, eppure… eppure… Eppure l’apatia in cui siamo immersi e i crucci della quotidianità rischiano di farci guardare solo nel nostro orticello, limitando un po’ gli orizzonti.

È per questa ragione che ogni tanto vado sul blog di Micol che, con delicatezza e anche un po’ di incertezza, dal suo osservatorio speciale, posiziona la lente di ingrandimento su qualche faccenda di cui pochi altri parlano.

Oggi, poi, Micol mi ha dato la possibilità di leggere una storia bellissima. La trovate qui.  

venerdì 1 luglio 2011

Vita sentimentale di un camionista

Da qualche mese, ormai, collaboro con un’Associazione che opera nel settore dell’autotrasporto.
«Mbè?!» direte voi. Mbè, per chi non mi conoscesse, sono una fanciulla minuta che detesta guidare e che continua a definire “camioncino” qualsiasi tipo di veicolo diverso da un’autovettura; per me è un “camioncino” anche un autoarticolato.
Quando ho accettato questo lavoro, l’ho fatto più per risolvere questioni di tipo pratico, quelle che affliggono “l’Italia peggiore”, per dirla con le parole del Ministro Brunetta, che per il fascino dell’ignoto. Ho anche pensato che, sebbene non avessi alcuna esperienza, non sarebbe stato così complesso studiare due decreti e un paio di norme del codice della strada in modo da poter fornire il giusto supporto tecnico-giuridico ai miei associati. Ingenua!
Mi sono trovata immersa in un marasma di decreti e note esplicative che più che esplicare complicano; circolari congiunte, comunicazioni dell’Agenzia delle Dogane, delle Entrate, regolamenti europei… Costi che aumentano giorno dopo giorno, sanzioni a tutto spiano, imprenditori inferociti che non sapendo a chi rivolgersi (giustamente, nelle sedi preposte mai che ti rispondesse qualcuno), telefonano a te. Con la consapevolezza che tu potrai far ben poco per aiutarli, ma almeno li ascolterai. Telefono amico.
   
Fatte le dovute premesse, va da sé che, un bel giorno, ho acquistato Vita sentimentale di un camionista.
Primo romanzo che leggo dell’autrice spagnola Alicia Giménez-Bartlett, la creatrice dei polizieschi di grande successo (a quanto pare) aventi come protagonista Petra Delicado; non posso, quindi, azzardare commenti e confronti tra la Giménez-Bartlett noir e la scrittrice di altri generi.
Ho trovato uno stile asciutto, frasi brevi e pochi fronzoli. La complessa personalità del protagonista, Rafael, camionista dongiovanni e dall’ego smisurato, emerge chilometro dopo chilometro.   
Si pensano tante cose quando si è inchiodati per ore a un sedile, il volante fra le mani e i piedi sui pedali. Si pensa tanto quanto i guardiani dei fari o i pastori con le greggi nei pascoli. […] Era buio pesto, l'umidità divorava i contorni delle cose, i fari proiettavano un alone opaco. Anche se le condizioni erano pessime, si proponeva di arrivare in tempo. Ce l'aveva fatta altre volte, non aveva mai mancato una consegna urgente. Nei paesi che attraversava la gente dormiva ancora, non si sarebbero svegliati prima di un paio d'ore. Allora sarebbero corsi nelle officine o nelle fabbriche, per rimanerci a lavorare fino a sera. Poi, sarebbero tornati a casa, avrebbero guardato la televisione, si sarebbero di nuovo messi a letto con le loro mogli. La gente non si muove mai, rimane sempre nello stesso posto, appiccicata a quel che vede dalle finestre di casa, tante volte il muro del vicino, un palo della luce. Lui non ce la faceva. Gli era sembrata una cosa normale, all'inizio, un lavoro fisso e alzarsi presto tutte le mattine. Ma non c'era riuscito. Si accese una sigaretta. Forse come camionista lavorava di più, doveva reggere più ore senza riposo, ma ogni giorno vedeva una città diversa, stava sveglio di notte. Poteva godersi il piacere di correre sul camion mentre gli altri dormivano nei loro buchi, piantati lì come alberi in fila senza protestare. Il brutto erano i pensieri, lunghe ore per pensare, aveva tutto il tempo che voleva per pensare. Certe volte le immagini del passato gli si ficcavano nella testa, battute e ribattute come chiodi. Allora doveva dominarle, allontanarle.
Rafel è un uomo che nella strada ha trovato la sua libertà; sì, ha una moglie e due figlie e si “rompe il culo per le strade” solo per loro – o così dice – ma poi ci sono le tante prostitute e la varie fidanzate sulle quali poter contare.
Un romanzo che non sfata il mito del camionista: grosso, rude, maschilista e un po’ violento, che beve  e fuma come un dannato. Un romanzo in cui gli autotrasportatori non hanno regole, nessuno li controlla, non subiscono pressioni. Solo nelle pagine finali si fa cenno ad una protesta con relativo fermo di tre giorni.
Chissà se qualche camionista avrà letto il romanzo. Chissà cosa avrà pensato. «Le solite invenzioni delle donne che non hanno nient’altro da fare».

Un’idea del libro qui.