Preambolo
Si può
acquistare un ereader. Riceverlo; guardarlo con scetticismo pensando che con lo
stesso importo avrei potuto acquistare qualche altro libro cartaceo da
aggiungere ad una libreria di titoli ancora da leggere. Ma…
Ma, dopo
pochi giorni dall’acquisto, mi ritrovo bloccata in casa da una brutta
influenza; voglio leggere assolutamente un libro che non possiedo e non posso
uscire. Potrei aspettare, certo; c’è sempre la famosa libreria piena di libri
intonsi. Ma vuoi mettere l’opzione “accendere l’ereader, un paio di click e
iniziare a leggere il libro desiderato dopo un minuto”? Ah, il bello della
tecnologia. Fine del preambolo e dello scetticismo.
John Edward Williams, Stoner,
Fazi Editore.
Traduzione di Stefano Tummolini
William
Stoner si iscrisse all’Università del Missouri nel 1910, all’età di diciannove
anni. Otto anni dopo, al culmine della Prima guerra mondiale, gli fu conferito
il dottorato in Filosofia e ottenne un incarico presso la stessa università,
dove restò a insegnare fino alla sua morte, nel 1956. Non superò mai il grado
di ricercatore, e pochi studenti, dopo aver frequentato i suoi corsi, serbarono
di lui un ricordo nitido.
Quando
morì, i colleghi donarono alla biblioteca dell’università un manoscritto
medievale, in segno di ricordo. Il manoscritto si trova ancora oggi nella
sezione dei “Libri rari”, con la dedica: «Donato alla Biblioteca
dell’Università del Missouri in memoria di William Stoner, dipartimento di
Inglese. [...]
Insomma,
una storia così scialba da non far comprendere l’esigenza di acquistare un
libro “in un click”. Ma, per dirla con le parole di Peter Cameron nella
postfazione a questo libro: “La verità è che si possono scrivere dei pessimi
romanzi su delle vite emozionanti e che la vita più silenziosa, se esaminata
con affetto, compassione e grande cura, può fruttare una straordinaria messe
letteraria”.
È così.
Questa vita anonima, caratterizzata da quelli che superficialmente potrebbero
apparir come una serie di insuccessi, non riesce a farti staccare dal libro fino
alla fine. Ci sono dei momenti in cui vorresti prendere Stoner per la camicia e
urlargli: “Ribellati! Ma non vedi che Edith non è la donna che fa per te? Ti
sta rovinando la vita! Lasciala!”. Altri in cui vorresti essere al campus,
entrare nella stanza di quel maledetto Lomax e dirgliene quattro. Ma chi
diavolo credi d’essere?! Poi respiri, pensi che è “solo” un libro; una storia
scialba, per giunta; forse, però, se è capace di farti scaldare tanto, così insignificante
non è.
Dell’autore,
tal John Edward Williams non sapevo nulla. Sicché, leggendo che nacque in Texas
nel 1922 da una famiglia di contadini (come Stoner), che partecipò alla seconda
guerra mondiale (no, Stoner non vi partecipò), che al suo rientro si trasferì in
Colorado dove rimase tutta la vita insegnando all’Università (come Stoner), ho
pensato che il libro fosse autobiografico. Apprendo, invece, dal blog di
Tommaso Pincio che il romanzo si ispira alla vita di James Cunningham, poeta, insegnante e sfortunatissimo in amore.
Sì, anche
di fallimentari storie d’amore ce ne son tante. Ma bisogna saperle raccontare.
E Williams lo fece egregiamente. Un gran bel libro.