lunedì 26 gennaio 2015

L’Italia nel pomeriggio, Paolo Di Paolo

“Palloso palloso palloso! Autore compiaciuto solo del suo stile di scrittura, per raccontare il niente. Un libro da dimenticare, subito, appena finito di leggere. Perché non lascia proprio niente.” E questo è ciò che mi merito per cominciare la giornata, visto che sono andato per l’ennesima volta a ficcare il naso fra le recensioni al mio ultimo libro su aNobii. Ben mi sta, ero stato avvertito di non perdere tempo (e buonumore) spulciando le recensioni anonime in Rete, e mi ero anche ripromesso di non farlo più. Patto tradito: è più forte di me, e sarei anche tentato di rispondere, senza aggressività, solo per attenuare quella altrui, per ricordare a chi scrive con tanta virulenza che su, in fondo si tratta di un libro, cari Agata, Pizia e tutti gli altri. Qualche volta l’ho fatto, e giustamente mi è stato risposto: se scrive, deve accettare che le sue cose non piacciano, è così, non si può piacere a tutti!1
Fosse facile. È come se, arrivato in quarta liceo, avessi dovuto rassegnarmi all’idea di non piacere a Chiara Fortini perché, appunto, “non si può piacere a tutti”. Che storia. A me invece sarebbe piaciuto piacere a Chiara Fortini: a ricreazione mi mettevo sempre in un punto del cortile in cui fosse intercettabile il suo passaggio. Lei passava, ma senza darmi segnali di interesse. Non era divertente: allo stesso modo in cui non è divertente prendersi le sberle dell’anonimo lettore che liquida il tuo come un libro che “dà l’orticaria”.


Paolo Di Paolo, L’Italia nel pomeriggio
Feltrinelli, Zoom Macro 











Caro Paolo,
sì, lo so, non ci conosciamo e non dovrei darti del tu. Tra l’altro, tu sei pure uno scrittore, sebbene dal nome ridicolo, ed io una lettrice qualsiasi, sebbene in carne ed ossa; quindi, un minimo di rispetto nei tuoi confronti dovrei mostrarlo. Ma dopo aver letto il tuo L’Italia nel pomeriggio ti vedo quasi come un amico.
E mi sento anche un po’ in colpa. Sono tra quei lettori che, in modo educato, hanno dato un giudizio critico al tuo Dove eravate tutti. Dalla cattedra di anobii predicai che “Se vi capita tra le mani un articolo di Paolo Di Paolo, leggetelo. Quando scrive su Tabucchi, ad esempio, è eccezionale. Questo libro qua, invece, lascia il tempo che trova”. Naturalmente scrissi anche altro ma fui parca di stelline. Che poi, che valore avranno quelle stelline?
Ad esser sincera, dopo aver letto qualche post in cui si che elogiava Mandami tanta vita (l’hai detto anche tu no che i lettori non si incontrano più in luoghi fisici? Rubano pause pranzo, pause caffè, pause riunioni per curiosare tra i blog, per lasciare un commento su un social, pure se sono diventati tutti un po’ asocial), ho pensato di prenderlo in prestito. Pensiero sepolto da qualche altro stimolo.
Poi la newsletter di qualche libreria online mi ha comunicato che potevo scaricare gratuitamente questo libretto che non avrei trovato su carta. Stavano solo pubblicizzando Zoom. Il lettore, per definizione, è spesso squattrinato e quindi clicca.
Qui mi è piaciuta la tua sincerità, il tuo sorriso un po’ amaro. Io non ho mai avuto la smania di scrivere lettere ai personaggi pubblici. Cioè, certe volte lo faccio, ma per finta. Questa volta l’ho fatto un po’ per finta e un po’ per davvero. Te lo volevo dire di persona che non si può piacere a tutti, non si può piacere sempre ma che bisogna fidarsi dei superpoteri. Così capisci che vale la pena insistere. Anche con quel nome lì, anche se sei nato solo nel 1983. 
Una lettrice in carne ed ossa.

Ndr: La lettrice in carne ed ossa scrisse davvero all’autore dal nome improbabile. E l’autore le rispose il giorno successivo. In modo gentile, amichevole, senza il tono superbo di alcuni scrittori. “Ma che bella persona”, pensò la lettrice in carne ed ossa. “Ma sì, un altro suo libro posso anche leggerlo”. Poi, magari, stroncherà anche quello. O forse no…

martedì 20 gennaio 2015

I primi casi di Martin Beck, Maj Sjöwall – Per Wahlöö

Ho conosciuto Martin Beck solo pochi giorni fa. Non che ci tenessi, non ero alla ricerca di un altro poliziotto, svedese per giunta. Ma non ho avuto alternative: il mio amico ci ha lasciati da soli, in un locale fumoso, e non sono così maleducata da tacere mentre si sorseggia un caffè. L’ho guardato con sospetto: schivo, di poche parole, l’aria malaticcia, il pacchetto di sigarette sempre in tasca. Poi, ha alzato lo sguardo, un paio di domande ed è stato subito chiaro che con gli interrogatori ci sa fare. Non ti schioda gli occhi di dosso fin quando non ottiene la risposta che vuole sentire. Per togliermi dall’imbarazzo, l’ho buttata sul personale.
«Quindi è lei che sta seguendo il caso di Roseanna McGraw? Ne parlano tutti i giornali, per quel poco che riesco a capire. Bel casino…Cioè, non è che me ne intenda molto, ma una bella ragazza americana viene in Europa per la prima volta, fa una crociera sui laghi svedesi e finisce violentata e morta nel lago di Vattern. La Svezia non era famosa per l’assenza di criminalità?»
Ho esagerato; il su volto è diventato ancora più magro, le pieghe agli angoli della bocca più evidenti, gli occhi grigio-azzurri si son intristiti. Metà della vita a fare il poliziotto e gli ultimi otto anni nella omicidi devono avergli ingobbito le spalle. La leggenda lo ritrae come l’esperto di Stoccolma, l’uomo richiesto da tutto il paese per la soluzione dei casi impossibili. A me ora sembra solo triste.
«Pochi indizi. Il caso lo stiamo gestendo in collaborazione con la polizia statunitense ma ormai sono passati tanti mesi… Lei che ci fa in Svezia?».
Sì, meglio cambiar argomento. «Ho approfittato delle ferie natalizie per venir a trovare qualche amico. Ma andrò via presto. Dopo il Natale l’atmosfera si è incupita. Strade piene di gente grigia e intirizzita, senza un soldo in tasca. Negozi deserti. Clima nebbioso e freddissimo».
Lo vedo addolcirsi. «Ci si abitua. Però verrei volentieri con lei. In un assolato porto del Mediterraneo: potrei trascorrere giorni a guardare le imbarcazioni ormeggiate; studiarne i particolari, vederle salpare…»
«Suppongo che la sua famiglia non ne sarebbe così felice. È sposato?»
S’incupisce nuovamente. Altro tasto dolente. «Mi sta chiedendo se c’è qualcuno che mi assilli perennemente con discussioni sull’economia domestica e sulle assurde pretese dello Stato nei confronti dei propri dipendenti? Qualcuno che mi chiami più o meno tutti i pomeriggi per sapere se mi devono aspettare per cena o possono iniziare senza di me? Se è questo che vuole sapere, sì, sono sposato». 
Taccio imbarazzata. Ha parlato con aria mite; non è stato uno sfogo, gli è sfuggito di bocca. E non avrebbe voluto. Non deve essere una di quelle persone che telefona ad un amico solo per fare quattro chiacchiere. Non sembra neanche uno che possa avere amici.
Si alza lentamente: «Scusi, devo andare. È stato un piacere conoscerla. Passi a trovarmi la prossima volta che viene a Stoccolma. Il commissariato è vicino al Parco Kristinenberg. Piacevole in estate».

Affascinante. E poi non sono mai andata in Svezia d’estate…


I primi casi di Martin Beck, Maj Sjöwall – Per Wahlöö
traduzione di Renato Zatti, Sellerio.

domenica 11 gennaio 2015

Uno strano luogo per morire, Derek B. Miller

Ormai siamo abituati allo stravolgimento dei titoli dei romanzi tanto da non stupirci se un fascinoso Norwegian by Night si trasforma in Uno strano luogo per morire
Siamo in Norvegia ma l’autore, Derek B. Miller, è nato a Boston e prima di trasferirsi ad Oslo ha vissuto buona parte della sua vita in Massachusetts. E si sente. Ha studiato Relazioni internazionali. E si sente. È ebreo e i suoi antenati emigrarono dall’Europa dell’Est agli inizi del ‘900. 
Tutto questo per dire che se vi aspettate il classico giallo scandinavo (sempre che ne esista un modello), non lo troverete qui dentro. Qui troverete un romanzo (come detto esplicitamente sulla copertina) che ruota intorno ad un curioso personaggio, Sheldon Horowitz, ebreo americano di 82 anni, trasferitosi per amore della nipote ad Oslo. Uno strano luogo per morire, appunto.


«Vieni a vivere in Norvegia con noi».
«Soffoco» disse Sheldon.
«Dico sul serio».
«Anch’io».
«La zona si chiama Frogner. È bellissima. L’edificio ha un ingresso indipendente per l’appartamento nel seminterrato. Sarai del tutto autonomo».
«Cosa ci verrei a fare? Sono americano. Ebreo. Ho ottantadue anni. Sono un vedovo in pensione. Un marine. Riparo orologi. Ci metto un’ora per fare pipì. Laggiù esiste un club di cui non sono a conoscenza che mi vuole tra i soci?».
«Non voglio che tu muoia solo».

Troverete guerre mitiche (la Corea e il Vietnam), guerre dimenticate (i Balcani), le tensioni sociali generate dai flussi migratori nella pacifiche cittadine nordeuropee. E troverete anche Sigrid, un’ispettrice capo, di bellezza normale, tosta, irrimediabilmente single. Tranquilli: la storia d’amore ci viene risparmiata.
Un po’ troppe cose, forse. Così troppe da dimenticarvi di essere in un giallo. Ritmo lento per tre quarti del libro; poi, il romanzo si trasforma in crime fiction e ci si dimentica di preparare il pranzo.
Finale geniale.   

Al Telegraph, all’Economist e al Guardian Norwegian by Night è piaciuto parecchio (Funny and moving as well as thoroughly gripping, this is crime fiction of the highest order); a me non è dispiaciuto. Però è mancato il brivido giallo. 

Derek B. MillerUno strano luogo per morire
Traduzione di Massimo Gardella, I Neri, Neri Pozza. 


giovedì 8 gennaio 2015

Monaco di Baviera


Volevamo un Capodanno innevato, la magia di una piazza imponente eppure raccolta; volevamo l’aria pungente, il cielo azzurro, persone allegre ma non invadenti. Volevamo salutare il 2014 con un buon boccale di birra ed inaugurare il 2015 con qualcosa di bello, senza sapere esattamente cosa, ci bastava girovagare nella città. Non avevamo pianificato nulla. Avevamo solo un paio di libri a testa e una guida di Monaco, che avevamo appena sfogliato. 
Abbiamo avuto le nostre birre alla celebre Hofbräuhaus, neanche troppo affollata rispetto alle aspettative. Sì, c’erano le cameriere in costume bavarese che portavano con leggerezza almeno sette boccali di birra, mentre io avevo bisogno di due braccia per sollevarne uno e sorseggiarlo.  Sì, c’erano le fanciulle in carne che passavano tra i tavoli con la cesta piena di breze; sì, c’erano wurst di vario tipo e le ballate popolari. Il tipico locale bavarese, pensavo io. Invece no. Eravamo seduti accanto ad un gruppetto di estroversi bavaresi che di birre ne avevano tracannate già abbastanza. «Di solito non è così; di solito suonano musica tradizionale, non queste robe per turisti; di solito il clima è diverso, perché non c’è tutta questa gente che cammina in fila indiana alla ricerca di un tavolo. Di solito, sui tavoli non ci sono menù in tutte le lingue. Insomma, è Capodanno e questo stasera è un posto per turisti. La prossima settimana torneremo alla normalità». Vicini loquaci, saranno state le litrate di birra. Ci raccontano la Monaco che un po’ si vergogna della Merkel, la Monaco che non avverte la crisi perché in fondo lavoriamo tutti, il mercato dell’auto va bene ed anche se siamo operai non ci sono cose a cui dobbiamo rinunciare. Sappiamo di vivere in una città ricca.


I nostri nuovi amici parlano un buon inglese. Amano Bolzano e il Sudtirolo, la pensiamo allo stesso modo, parliamo la stessa lingua, loro però hanno una cucina migliore. Ci chiedono dell’Italia, di Roma; ricordano quella volta in cui, almeno trent'anni fa, visitarono la città. Li derubarono appena arrivati e di Roma non rimase che una trafila al consolato per richiedere documenti, soldi e un aiuto per tornare in Germania. Ci suggeriscono qualche locale in cui andare nei giorni successivi, quelli senza turisti, con gestori un po’ rudi e menù solo in tedesco.
Chiacchieriamo ancora un po’, poi decidiamo uscire, camminare nelle strade innevate, guardare stupiti la maestosità del Neues Rathaus. Sembra di stare in una tela in bianco e nero. 
Il 31 dicembre a Marienplatz si parla quasi solo italiano. C’è una nutrita presenza di russi e ucraini, ogni tanto si sente qualche spagnolo. Non credevo fosse una meta così popolare tra i nostri connazionali per il Capodanno. Iniziano a volare petardi e fuochi di vario tipo; prendiamo vie secondarie e lentamente ci dirigiamo verso l’hotel. Attendere la mezzanotte in piazza non è mai stata una nostra priorità.

Chissà perché ho sempre immaginato Monaco una cittadina di modeste dimensioni, una città accogliente ma senza pretese. Imponenti edifici neoclassici, musei ricchissimi, chiese in cui il gotico si mescola con il barocco, un complesso universitario notevole hanno stravolto le mie errate convinzioni.
Gli Impressionisti della Neue Pinakothek valgono da soli la visita alla città; se poi si aggiungono Dürer, Memling, Bruegel, Rubens e gli italiani dell’Alte Pinakothek, c’è da tornare a casa molto soddisfatti. Non sono abituata a due giorni consecutivi di tanta bellezza.
Ci stacchiamo dal passato, dalle residenze imperiali di un’Europa d’altri tempi per immergerci tra i profumi e i colori del Viktualienmarkt. I turisti curiosi con macchina fotografica non son visti di buon occhio se si limitano a fotografare senza acquistare. Mi sono scusata con la signora che berciava “no photo!” ma l’ho guardata un po’ male quando ha autorizzato un’altra coppia a take a picture because you have bought many things… Mmm, vabbè.


Monaco è molte cose; ho finalmente capito la ragione che spinse la mia compagnetta d’università a prolungare l’Erasmus in questa città, a tornarci nuovamente per la tesi e a sospirare ogni volta che la si menziona.

InfoPoint
L’aeroporto Flughafen München Franz Josef Strauß è collegato benissimo con il centro della città. Costo del biglietto aeroporto - Hauptbahnhof (stazione centrale di Monaco) €10,40. 
Noi abbiamo pernottato all’Antares. A due passi dall’Alte Pinakothek, circa 15 minuti  a piedi per raggiungere il centro. Buon rapporto qualità prezzo, ottima prima colazione. Se volete evitare i connazionali all’estero, non è il posto migliore. Eccezion fatta per qualche famigliola tedesca/austriaca, a colazione si sentiva parlare solo in italiano. Unica, vera pecca della struttura il wifi a pagamento. Ma dico, nel 2015 possono ancora esistere hotel in cui ti fanno pagare il wifi 7 (dico sette) euro al giorno? Mah…


$$ Money: Alte Pinakothek 4 euro (inclusa audio-guida), Neue Pinakothek 7 euro (audio-guida inclusa), stessa costo per il Residenz Museum. Decisamente più economici rispetto ai costi a cui sono abituata (7 euro audio-guida inclusa? Quando mai?). Ho fatto un giretto al supermercato e ho trovato gli stessi prezzi italiani. Insomma, potete organizzare qualche giorno a Monaco senza spendere una fortuna.