mercoledì 27 gennaio 2016

Fondi di caffè, Mario Benedetti




Mario Benedetti, Fondi di caffè
traduzione di Elisa Tramontin












La mia famiglia traslocava di continuo. Perlomeno da quando ne ho memoria. Voglio specificare però che traslocavamo non perché ci sfrattassero o non pagassimo la pigione, bensì per altri motivi, magari più assurdi ma meno imbarazzanti”.

Il trasloco è una costante della mia esistenza da adulta. Non a caso, fino a pochi anni fa, ho sempre preso in affitto appartamenti già arredati, così da poter agevolmente racchiudere la mia vita in pochi scatoloni e spostarla altrove. Ora che sono più stanziale (nell’ultimo trasloco abbiamo acquistato dei mobili), il trasferimento mi terrorizza. Fatta questa premessa, intuirete che con un incipit del genere, Fondi di caffè doveva essere mio.
Non avendo letto altro di Mario Benedetti (neppure La tregua, il suo romanzo più noto), non so quanto sia stato saggio fare amicizia partendo da questi ritagli di ricordi sparsi. Il passato è narrato dalla voce di Claudio, alter ego di Benedetti, ossessionato dalle lancette degli orologi puntate sulle 3.10 e da tutti gli accadimenti che alle 3.10 del pomeriggio avrebbero potuto cambiare la sua vita.
È un libro dominato dal fluire del tempo: avverti il ticchettio delle ore nelle miriadi di orologi disegnati da Claudio, negli addii agli amici che si ripetono ad ogni trasloco, nella lotta interiore per stabilirsi nell’Aldiquà, cercando di lasciare alle spalle il passato, nei ricordi a colori che svaniscono dagli occhi ciechi di Mateo. Il tempo continua a scorrere, incurante degli appunti che il padre di Claudio si ostina ad annotare. 
Quando gli anni si accumulano cominci a essere consapevole che il tempo passa in fretta e forse per questo motivo alimenti l’autoinganno che scrivere di tutti i giorni piò essere un modo di frenare quella catastrofe. Non la freni, ovviamente.

Fondi di caffè è una raccolta di frammenti di vita per lettori senza fretta, di quelli che si soffermano a pensare all’odore caratteristico che ciascuna casa emana, ai diari iniziati e presto interrotti, a rincorrere inutilmente le sensazioni provate da bambini. Qualche volta ho sorriso, qualche volta sono tornata indietro per rileggere un pensiero poetico; altre volte ho sbadigliato. Se cercate una storia avvincente, non la troverete tra queste pagine; ma magari vi verrà la curiosità di approfondire l’amicizia con Benedetti. A me, almeno, è successo così.



E gli altri che ne pensano?
Qui un commento critico del terribile (ma bravissimo) Cornelio Nepote.
Il foglio, invece, ne scrive una recensione invitante.