mercoledì 11 gennaio 2017

Una ragazza lasciata a metà, Eimear McBride

Se non fosse stato per la simpatia dei tipi della Safarà e per il commento di Marco Rossari, questo libro non sarebbe mai finito sul divano di casa mia. Perché, se a metà della prima pagina, leggo una cosa tipo:
Lo so. La cosa non andava. È un. Si chiama. Sangue dal naso, mal di testa. Dove non ce la fai a reggere. Cascano tazze e piatti lei dice raccogli tutto.
(eh già, proprio con questa punteggiatura qui), e se, aprendo un’altra pagina a caso, noto che lo stile non cambia, io rimetto il libro esattamente dove l’avevo preso e vado via. È che sono una noiosa tradizionalista; mi innamoro delle frasi liriche, struttura classica: soggetto, predicato, complemento, pochi aggettivi e punteggiatura canonica. Gli esperimenti letterari mi destabilizzano.
Eppure questi ragazzi coraggiosi della Safarà, con le loro storie oblique, mi hanno conquistato. E poi ci s’è messo pure Marco Rossari, che in genere suggerisce romanzi tutt’altro che banali. Insomma, alla fine ho commesso peccato mortale e mi son concessa una scrittura fuori dagli schemi.

Ho terminato il primo capitolo di Una ragazza lasciata a metà senza sapere cosa avessi letto. No, così non va. Allora ho ricominciato daccapo, leggendo ad alta voce. Ho scoperto un altro ritmo. Accelerato, poco rispettoso della già irriverente punteggiatura della McBride. La mia voce andava a ruota libera: gli insulti sono diventati più crudeli, gli schiaffi più dolorosi, le urla più rabbiose. 
Entrata nella storia, la lettura è tornata ad esser silenziosa ma la tensione è rimasta alta, senza respiro, nonostante le frasi spezzate. Si è distesa solo a metà romanzo, quando anche la McBride prende una pausa; la sua ragazza si immerge nello studio, nella possibilità di una vita diversa, staccandosi dalla parte più oscura di sé. Ma poi si precipita di nuovo.
La trama si può riassumere in poche righe: Eimear McBride narra il tortuoso percorso di crescita di una ragazzina abbandonata dal padre e in perenne contrasto con una madre bigotta (Alzati da quel letto. Non ti farà alcun male Signorina far vedere al Signore che l’hai a cuore). Un rapporto conflittuale con il fratello maggiore, sopravvissuto da bambino a un tumore al cervello solo grazie alle novene recitate da tutta la comunità giorno e notte (Ma attenta che quello che Lui dà può anche riprenderselo). E uno zio che abusa di lei a tredici anni. L'evento che cambia la sua vita. Sarà un continuo darsi agli uomini, non per piacere ma per vendicarsi, per sentirsi forte. Non ci sarà mai piacere né amore; sarà solo sesso, sempre crudele, doloroso, il corpo qui la mente altrove.
Vengo trascinata in quei pensieri; entro nella mente di questa ragazza perversa, nel suo continuo chiacchierare col tumore del fratello, sopporto a fatica le ave Maria della madre. Non è la storia a coinvolgermi ma quel modo crudo e urticante di manifestare i pensieri.
Arrivo alla fine del romanzo senza esser in grado di esprimere un giudizio. Mi è piaciuto? Non lo so. Ho sofferto, mi sono irritata, ho avuto voglia di gridare basta! Lo regalerei? Non credo. Qualcuno potrebbe tirarmelo dietro. Non mi stupisce che l’esordiente McBride abbia impiegato anni prima di trovare un editore. Io non l’avrei pubblicato. Troppo rischioso. Ma la Faber&Faber ci ha creduto e in Inghilterra questo A Girl is a half-formed thing è diventato un caso letterario. 
In Italia ci ha creduto Safarà Editore e di una cosa sono certa: se fosse stato pubblicato da una grande casa editrice, di questo romanzo avrebbero parlato tutti, per osannarlo (“martellante, rivoluzionario”) o per distruggerlo (“ormai si pubblica qualsiasi schifezza”). Ma se ne sarebbe parlato. Safarà, invece, dovrà faticare un po’ per farlo circolare.
Eimear McBride
Per alcuni dei temi affrontati (il rapporto spregiudicato con il sesso, il cattolicesimo fanatico e soffocante, la mentalità di paese), Una ragazza lasciata a metà mi ha ricordato Carne viva di Merritt Tierce. Stile completamente diverso, ma ugualmente crudo. Sono andata a cercare qualche intervista della scrittrice, immaginando una ragazza esile e pacata, dal volto triste (la versione irlandese di Merritt Tierce, appunto). Invece ho trovato una bella donna con una risata cristallina, dall’accento poco irlandese e lo sguardo diretto. Una che ha adorato Edna O’Brien da ragazzina, la letteratura russa da adolescente e ha visto la luce a 25 anni leggendo James Joyce. Ma no, non accomunate il suo stile con il flusso di coscienza joyciano perché potrebbe seriamente adirarsi.

A Girl is a half-formed thing è stato pubblicato nel 2013. Mentre in Italia scopriamo Eimear McBride, altrove è già stato pubblicato il suo secondo romanzo, The Lesser Bohemians. Chissà se qualcuno lo porterà anche da noi… 

Eimear McBride, Una ragazza lasciata a metà (A Girl is A half-formed thing), trad. Riccardo Duranti, Safarà Editore, 2016.


4 commenti:

  1. Ma dico può una sopravvivere tutto insieme a:

    una madre fondamentalista
    un fratello malato di cancro bambino
    una violenza pedofila

    non è troppo ma troppo troppo.
    Per carità può anche andare peggio, tutto questo può succedere in Siria sotto le bombe.
    Sarà anche una gran lettura, ma non credo approfitterò della notifica della sua esistenza

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    1. Hai ragione Amanda. È troppo. Però è un libro potente che son contenta d'aver letto. Ma non è il libro più indicato se l'umore non è dei migliori.
      Non temere: quello di cui parlerò presto potrebbe fare al caso tuo (mi sembra che tu non l'abbia ancora letto...)

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  2. E complimenti a Duranti per l'ottima (e coraggiosa) traduzione!

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    1. Esatto. Non dev'esser stato così semplice. è un libro forte e discutibile, per questo sono contenta del fatto che una piccola casa editrice abbia avuto il coraggio di portarlo in Italia.

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