mercoledì 24 maggio 2017

L’ombra dell’ombra e Paco Ignacio Taibo II

Paco Ignacio Taibo II con sua moglie, Palomar - aperitivo romano
Antefatto. Salone del libro di Torino 2016: non so chi sia Paco Ignacio Taibo II ma mi fermo ad ascoltare questo signore dalla faccia simpatica che dialoga con De Cataldo, ammaliando il pubblico. Dovrebbe essere la presentazione di A quattro mani, romanzo appena ripubblicato in Italia da La nuova frontiera ma è una sorta di commedia teatrale. Lo scrittore parla a ruota libera di poliziotti, Messico, politica e America latina. De Cataldo ci prova, ma non ce la fa proprio a stargli dietro.
Della trama del libro non colsi molto, mi folgorò il personaggio Paco, il mix di ironia e umorismo, la capacità di raccontare cose serie senza farle apparir tali. Non acquistai il romanzo, ma curiosai nella sua vita e nella ricca produzione letteraria, e qualche mese dopo regalai al coniuge la monumentale biografia del Che (Senza perdere la tenerezza, Il saggiatore). Era scoccata la scintilla ma non era ancora amore.


Pre-Salone del libro di Torino 2017. Don Paco, che non perde occasione di tornar in Italia con la gentile consorte, si lancia nell’Ombra tour, ed io vengo invitata da Laura Ganzetti per un aperitivo romano con Paco Ignacio e pochi intimi, organizzato da La nuova frontiera.

Recupero dalla biblioteca di Rocca Priora questa copia del 1996, pubblicata da Marco Tropea editore. Sarà davvero necessario ripubblicare, a distanza di 20 anni, un libro introvabile da tempo?
Le prime pagine dell’Ombra nell’ombra (titolo della precedente edizione) scorrono con una certa lentezza, non riesco ad entrare nell’atmosfera di Città del Messico del 1922. Mi siedo al tavolo del domino con quattro tipi improbabili: un avvocato di prostitute (che nasconde dentro di sé un paio di demoni del passato), un sindacalista cinese (che non parla una parola di cinese ma non riesce a pronunciare la r), un giornalista (che considera la cronaca nera la vera letteratura della vita) e un poeta (che per mangiare scrive slogan pubblicitari di prodotti farmaceutici).
Affumicata dalle sigarette e offuscata dal rum, capisco sempre meno quale sia il nesso tra i quattro giocatori e gli inquietanti omicidi a cui involontariamente si trovano ad assistere. Il domino si intreccia con morti violente, la rivolta di Pancho Villa, lo sciopero degli operai, un golpe militare, il petrolio messicano e scene rocambolesche. La finzione letteraria si confonde con la storia e mi sorge il sospetto che nell’Ombra dell’ombra d’inventato ci sia ben poco e che la realtà possa superare la fantasia.
Impreparata sulla storia del Messico e sulla rivoluzione messicana, comincio a googlare ogni nome che compare nel romanzo e viene fuori che qualche personaggio minore è esistito davvero. Bastano 4 accorate righe per farti capire che la biondina minuta che attraversa la strada saltando le pozzanghere, Elena Torres, non è né un personaggio inventato né inoffensivo. Taibo II ruba dalla storia, ma non ama mitizzare i personaggi; cerca gli uomini e le donne che si celano dietro i personaggi, ne svela fragilità, ombre, ossessioni. Emergono ritratti fatti con matite e carboncino, simili alla bella copertina scelta per questa nuova edizione del romanzo.
Don Paco lo dice chiaramente: la letteratura non deve mettere ordine nella vita ma diffondere il caos. Ed è quello che succede in questo finto thriller, avvincente ma non lettura da metropolitana. Non si arriva all’ultima pagina per scoprire chi sia il mandante degli omicidi ma per completare il puzzle del Messico degli anni Venti.
Quindi, era necessario ripubblicare in Italia un libro introvabile da tempo? Sì, lo era. È necessario continuare ad invitare in Italia un personaggio rivoluzionario che non riesce a parlare di letteratura senza metterci dentro la politica, la lotta, la passione, i diritti dei più deboli? Un uomo, spagnolo d’origine e (nella mia testa) messicano solo d’adozione, che alla domanda “Ha mai pensato di lasciare il Messico?”, a momenti mi scaraventa contro il bicchiere di gazzosa (sì, gazzosa).
“NUNCA, NEVER, MAI”. Ho smesso di essere spagnolo da anni. Sono messicano, non lascerei mai il mio Paese. Un uomo energico che, se solo parlasse vietnamita, starebbe già scrivendo la biografia di Ho Chi Minh (uno dei pochi personaggio che merita davvero una biografia). Un uomo in cui vita e letteratura coincidono (Non capisco quelli che ti chiedono quale libro porteresti su un’isola deserta. Io non andrei su un’isola deserta se non ci fosse almeno una biblioteca). Quindi, è necessario continuare ad andare ai Saloni, agli incontri in libreria, agli aperitivi con Paco? No, certo, si può vivere senza. Ma si perderebbe l’occasione di ricevere una sferzata d’energia, di conoscere un altro pezzo di mondo, d’incontrare una coppia (perché credo che Paco, senza la sua compagna, Palomar, sarebbe un uomo monco, con la metà dell’energia che possiede oggi) che si sta spendendo moltissimo nel progetto della Brigada para leer en libertad, iniziativa volta alla diffusione dell’informazione dal basso, impegnata nel portare libri nelle zone periferiche in cui non ci sono né librerie né biblioteche.
E vabbè, a questo punto è evidente che la scintilla scoppiata lo scorso anno è diventata quasi amore. 


Paco Ignacio Taibo II, L’ombra dell’ombra (Sombra de la sombra), trad. Maria Pia Ferrari, La nuova Frontiera, Roma, 2017

Nel post mancano i link al sito della casa editrice poiché attualmente in fase di restyling. A breve, troverete tutte le informazioni qui.

domenica 14 maggio 2017

Il buonumore in una cassetta di libri

Io che pensavo d’esser una veterana del trasloco, sono stata stroncata dall’ultima fatica. Mi è sembrato girasse tutto storto a partire dal periodo scelto (scelta obbligata, di volontario c’era poco), dal numero di scatoloni accantonati, dalle nottate in bianco e gli imprevisti che sembravano non aver fine. 
Poi siamo approdati a casa nuova, scatoloni ancora da spacchettare, neanche il tempo di trovare la strada più veloce per arrivare in ufficio e ho un incidente a pochi metri dalla nuova dimora. Succede. Non è un cattivo presagio, solo un errore umano. 
Poi sono iniziate le liti furibonde tra i miei nuovi condomini. Bisogna aggiungerti al gruppo whatsapp, è fondamentale per le comunicazioni di servizio. Abituata ai precedenti condomini, età media 82 anni, mi son detta ‘an vedi che forti! Niente perdite di tempo per le questioni condominiali. Due messaggini e via. Salvo scoprire il giorno successivo d’esser finita in un covo di maniaci di whatsapp. 80 messaggi inutili a volta; obiettivo principale seminare zizzania e aizzare una vicina contro l’altra. Obiettivo centrato tre volte su tre. 
Logisticamente casa nuova si è rivelata la scelta perfetta; piccina e silenziosa (tutti troppo impegnati sui social per far baccano nella vita reale). Il contesto, però, mi ha destabilizzato. Nessun runner che mi saluti quando vado a correre, ciclisti imbronciati, nessuno sguardo amico, negozianti gelidi; una costante sensazione di disagio. 
Finalmente la svolta. L’altra sera ci fermiamo in una sorta di paninoteca e qualcuno ci sorride. Ambiente piccolo e accogliente, persone simpatiche e una bella cassetta di libri con una locandina che pubblicizza il giralibro
Il classico bookcrossing, organizzato all’interno del territorio comunale da un’associazione culturale che ha sparso cassette di libri tra diverse attività commerciali, dal macellaio al negozio di scarpe, con lo scopo di avvicinare le persone alla lettura, in modo semplice ed efficace. Il caso ha voluto che gli ideatori del progetto fossero seduti al tavolo accanto al nostro e, dopo tre mesi dal cambio di residenza, per la prima volta abbiamo iniziato a chiacchierare allegramente con qualcuno dei nostri nuovi concittadini.

Dal sito illibraio.it 

Sono andata via con un Imre Kertész e il ritrovato buonumore. Qualcosa inizia a girare per il verso giusto. Vorresti dire che è bastata una cassetta di libri e altri due matti come te per farti sentire improvvisamente a casa? 
Il coniuge mi guarda perplesso, ma io sono di nuova fiduciosa verso il genere umano. Mi sento bene.
Il benessere può nascondersi anche in una cassetta di libri in un luogo che non ti aspetti; può nascondersi nell’idea di prendere un libro in una paninoteca e depositarne due in un bar fino a ieri sconosciuto; raccogliere un sorriso, fare quattro chiacchiere e andare a lavoro senza sbuffare.

  

sabato 6 maggio 2017

Grazia Cherchi e la passione per la letteratura

C’è stato un momento della mia vita in cui ho iniziato a spender soldi per mini corsi di editoria. In genere si svolgono nel weekend, spesso sono un modo per alimentare le magre casse delle piccole case editrici e delle agenzie letterarie, nonché le illusioni di neo laureati disoccupati. Non ho una formazione umanistica, ho scoperto il mondo del libro e dell’editoria relativamente tardi (quando già avevo trovato un modo per pagare l’affitto), epperò mi ero fissata sul mestiere dell’editor. Tutta colpa di Grazia Cherchi e dei suoi articoli racchiusi in Scompartimento per lettori e taciturni, pubblicato da Feltrinelli nel lontano 1997, scomparso dagli scaffali per anni, e ora felicemente ripubblicato da minimum fax.
Io mi ci imbattei per caso in biblioteca. Non avevo la più pallida idea di chi fosse Grazia Cherchi, né sapevo cosa facesse un editor: mi incuriosì il titolo. Non era un libro di viaggi, anzi, la annoiavano i diari e i racconti di viaggio. Però, come tutti i lettori avvezzi all’uso dei mezzi pubblici, Grazia Cherchi sognava treni in cui avrebbe permesso una sola domanda a spezzare il silenzio: Scusi lei, cosa sta leggendo? Poi, nulla.

Grazia Cherchi con Bellocchio e Fofi. Foto di Vincenzo Cottinelli
Grazia Cherchi è stata l’Editor. Lettrice formidabile, disciplinata, caparbia, affrancata da ogni vincolo con le case editrici per sentirsi libera di stroncare o applaudire, nemica del mercato dei premi e delle classifiche.

Personalmente, fare l’editing è il lavoro che preferisco in campo editoriale. Al punto che, qualche anno fa, mi capitò di chiedere consiglio al grande Erich Linder: cosa sarebbe successo se mi fossi dedicata solo all’editing? “Non avrebbe di che campare”, mi rispose Linder, ricordandomi che da noi, a differenza che nei paesi anglosassoni, l’editing non è una prassi ma un’eccezione. In pochi anni la situazione è visibilmente peggiorata, dato il progressivo disamoramento per i libri da parte di chi li fa e il sempre minor numero di persone che vi si dedicano con diligenza e passione.
(Grazia Cherchi, 1987, Panorama)

Ho frequentato qualche corso editoriale vagheggiando d’incontrare una Grazia Cherchi dei nostri giorni. Ma se fosse stata ancora in vita, temo li avrebbe ritenuti una perdita di tempo. Ci avrebbe spediti tutti a casa a leggere, evitando il best seller del momento.

Non faccio il negro, cioè, non riscrivo, ma mi dedico a un libro solo se mi piace e posso rispettarne l’impianto stilistico e narrativo, e cioè se ritengo che dietro vi sia uno scrittore. È un lavoro che mi ha sempre appassionato.
(intervistata da Mirella Serri, Ttl de La Stampa, 19 febbraio 1994)


Leggeva in media sette-otto libri a settimana; amava la narrativa, le biografie e la saggistica, che considerava un settore della narrativa; riceveva centinaia di libri in omaggio dalle case editrici e, dopo averli letti, li selezionava, distribuendoli agli amici, in base a gusti e personalità di ciascuno, senza scrivere dediche.
Se fosse stata viva oggi, avrebbe avuto ottant’anni e, credo, avrebbe continuato a lavorare e leggere instancabilmente.

Qui il tempo è orribile, il che mi permette di non fare mai vita da spiaggia (che detesto), e di leggere un libro al giorno (oh profetica anima mia: mi sono portata con me una valigia di libri), per il resto: giornate bianche. Ho letto un romanzo che le consiglio caldamente (se riesce a mollare un po’ i protestanti): Mia madre Lizzie di E. Dahlberg (Einaudi).
(A proposito di libri, scrive:«…la lettura di molti libri è tanto faticosa quanto il lavoro di scriverli, e non è detto che né una cosa né l’altra ci facciano meno noiosi nei confronti del prossimo»). Cerchi di vincere la sua ligure parsimoniosità e lo acquisti.
Grazia Cherchi, lettera a Giovanni Giudici, agosto 1966

In rete si trova un approfondimento curato da Oblique sulla figura di Grazia Cherchi qui.
Sull’Indice on line, invece, c’è un bel ritratto dell’intellettuale armata di sigaretta, matita e carta.

E poi c’è il piccolo libro di Michela Monferrini, pubblicato da ali&no nella collana le farfalle.