venerdì 12 febbraio 2010

La neve!

È un’alba silenziosa, con il cuscino insolitamente freddo e la pace tutt’intorno. Tendo l’orecchio per captare il rumore del camion della spazzatura che svuota i cassonetti bruscamente. Tutto tace. Mi alzo svogliatamente, metto su il caffè e alzo l’avvolgibile. L’immagine che ho di fronte non è ancora questa ma ci son tutti i presupposti affinché, da lì a un paio d’ore, lo diventi. 



Di sotto, nel giardinetto, ci sono grosse impronte lasciate da chi ha gironzolato un po’ su quel tappeto soffice. Dopo colazione, le impronte sono state ricoperte dai fiocchi che continuano a cadere. «La neve, la neve!! Usciamo!». Fiocchi magici: è la prima volta che i bimbetti dell’appartamento accanto non piangono, urlando come disperati, al loro risveglio.

Il signore di fronte inizia a spalare il vialetto, ma dopo un po’ poggia la pala e si pulisce gli stivali. Fatica inutile per ora. Meglio tornare al calduccio.


Tutto questo bianco mi distrae. C’è troppo silenzio, troppa poesia per dedicarsi alle attività quotidiane. Mi sembra d’esser tornata una scolaretta delle elementari con il grembiulino bianco e il fiocco blu. Allora nevicava più spesso e la mia maestra, terrorizzata all’idea di restar bloccata in quella piccola scuola, lassù in collina, si rifiutava d’andar a lavoro. Erano giornate davanti al caminetto, con i nonni, le minestre con il pane e, quando nonna era di luna buona, la polenta. Perché i paesetti in campagna sono ancora così, più suggestivi di un film in bianco e nero.

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