martedì 29 marzo 2011

Il supplizio di Marsia… e non solo

“La nascita dei Musei Capitolini viene fatta risalire al 1471, quando il papa Sisto IV donò al popolo romano un gruppo di statue bronzee di grande valore simbolico.
Le collezioni hanno uno stretto legame con la città di Roma, da cui proviene la maggior parte delle opere.
Il papa Sisto IV donando solennemente al Popolo Romano nel 1471 alcune antiche statue in bronzo già conservate al Laterano (la Lupa, lo Spinario, il Camillo e la testa colossale di Costantino, con il globo e la mano) costituì il primo nucleo dei Musei Capitolini. La restituzione alla città delle vestigia della sua passata grandezza acquistava un più alto valore simbolico per la loro collocazione sul Campidoglio, centro della vita religiosa della Roma antica e sede delle magistrature civili cittadine a partire dal medioevo, dopo un lungo periodo di abbandono.”
Con un po’ di vergogna, confesso che sono tante le città italiane che non conosco, tanti i luoghi, neppure troppo lontani da me, che non ho mai visitato; tante le chiese, che custodiscono opere celebri, in cui non ho mai messo piede; tanti i musei che fanno parte del nostro patrimonio nazionale e che io ignoro. Nell’infinita lista, spiccavano pure i Musei Capitolini; diciamocelo, mancanza grave per una persona che ha vissuto a Roma e che attualmente gravita intorno alla Capitale. Sì, c’ero stata una volta, in una qualche giornata speciale con ingresso gratuito, ma di quel giorno lontano ricordavo solo un gran caldo e una gran confusione. Così, domenica scorsa, su esplicita richiesta del signor valigiesogni, s’è pensato di colmare la lacuna. 
Le opere celebri sono tali e tante da richiedere più di una visita, perché dopo una mattinata tra divinità, eroi, dipinti e busti celebri ci si sente un po’ ubriachi e si procede barcollando.
Mi ha stupito il numero di stranieri che vagava con noi, almeno il 90% dei visitatori, buona parte dei quali francesi. E allora, tanto per ribadire la fase critica che mi trovo a vivere, un paio di osservazioni tra il velenoso e l’acido andante.
In un periodo in cui tanto si dibatte sui tagli alla cultura con conseguenti polemiche, resto allibita di fronte all’ignoranza dei sedicenti assistenti di sala. Non ho fatto altro che sentir urlare: «No foto! No foto!» e spiegare, ovviamente in italiano, a stranieri attoniti e confusi, le ragioni per cui non era possibile scattare fotografie (divieto dovuto alla presenza, in alcune aree del museo, della mostra “Ritratti. Le tante facce del potere”. Ma non sono certa che i visitatori l’abbiano capito). 

Tra un’opera e l’altra, arriviamo nelle Sale degli Horti di Mecenate e ci ritroviamo di fronte alla sofferenza del volto della statua di Marsia. Tutte le opere sono corredate da una breve didascalia in italiano e in inglese. Così, per quanto concerne la statua di Marsia, si può leggere una cosa del tipo “il satiro osò sfidare Apollo, dio della musica, in una gara con il flauto. Quest’ultimo vinse la competizione e Marsia venne scuoiato vivo”.

Un gruppo di adolescenti francesi, colpiti dalla statua, cerca, invano, di interpretare la didascalia.
Uno di loro si rivolge al giovane assistente di sala, lo porta vicino alla targhetta con la spiegazione e, in italiano, chiede «Cos’è questa parola?» E sillaba, indicandola, «Scuo-i-a-re». Per tutta risposta, il tipo con tanto di cartellino identificativo alla giacca e sguardo assente fa: «Ah, non lo so!».

Ora, i due centesimi (al litro) d’aumento dell’accisa sulla benzina li voglio pure pagare (a malincuore ma, giacché non si può fare altrimenti…), però voglio pure sapere come e a chi vanno distribuiti questi fondi. Perché se poi mi trovo a leggere avvisi pubblici (attualmente aperti) per l’assunzione da parte di Zetema Progetto Cultura S.r.l., società a totale partecipazione pubblica del comune di Roma (che gestisce tra le altre cose Musei, mostre, cultura ed eventi del Comune), di 17 unità part-time a tempo indeterminato di cui:

    a) 14 assistenti in sala da impiegarsi in ambito museale;

    b) 1 addetto alla biglietteria e prima accoglienza da impiegarsi in ambito museale; 

    c) 2 addetti alla libreria da impiegarsi in librerie museali
ci sta che mi indigni profondamente, anzi, inizi a straparlare dal nervosismo.  

Perché non ci credo, non posso credere, che tra i tanti candidati non ci siano persone che, non dico conoscano un po’ di storia dell’arte, per carità… Non pretendo che conoscano un paio di lingue straniere, ci mancherebbe altro. Ma che conoscano l’italiano, non mi sembra una grande pretesa!
E non ci credo che tra le tante persone che hanno partecipato ai concorsi precedenti (concorsi che hanno portato all’assunzione del personale in cui mi sono imbattuta) non ci fossero persone con una preparazione più adeguata.
Il signor valigiesogni dice che sono antica. «E basta con quest’idea della competenza, del corretto impiego delle risorse, della convinzione che anche a livello governativo si debbano impiegare persone competenti per dicasteri specifici. Insomma, che Galan stia all’Agricoltura o ai Beni Culturali fa lo stesso!».
 
È che (lo so, l'ho già scritto più volte) io non ce la faccio proprio a rassegnarmi.

martedì 22 marzo 2011

Kreativ Blogger Award

A mano a mano che passavano i giorni, prendevo a riconciliarmi con Bartleby. La sua costanza, la sua immunità da ogni sregolatezza, la sua incessante operosità (salvo quando preferiva immergersi in qualche trasognata contemplazione, all’impiedi dietro il suo paravento), la sua grande tranquillità, l’impassibilità del suo contegno in ogni circostanza, lo rendevano un acquisto prezioso. Una sua qualità primaria consisteva in questo: ch’egli era sempre là, primo al mattino, costante durante il giorno, ed ultimo alla sera. Nutrivo una straordinaria fiducia nella sua onestà.

Certo che il paragone con Bartleby lo scrivano di Herman Melville è un po’ azzardato. Ma ultimamente mi sento molto Bartleby o, quantomeno, gioco a fare la Bartleby della situazione. Precisiamo: nacqui con un eccessivo senso del dovere, parte ingombrante del patrimonio genetico ereditato dalla famiglia. Col tempo, però, mi sono migliorata parecchio. Solo che per banali esigenze, tipo condividere l’auto con il signor valigiesogni e quindi organizzare la mia giornata fuori casa anche in base alle sue necessità da stachanovista, il numero di ore che trascorro in ufficio si va dilatando a dismisura. E, allora, in alcune albe stralunate mi vedo, ancora in pigiama, barcollare tra PC e stampante, con una tazzina di caffè in mano, mentre cerco qualche rimasuglio di un biscottino nella cassettiera della scrivania. L’immaginazione che fa capolino nella realtà. Insomma, stamani ero davanti al mio PC, in ufficio, rigorosamente prima dell’orario di lavoro, con caffè (nel bicchierino di plastica) e biscottino e, per tirarmi su, girellavo tra i miei blog preferiti quando, bagliore di luce!, scopro d’essere stata insignita del premio


Premio attribuitomi dalla cara Jacqueline Spaccini, alias Artemide Diana, lei sì scrittrice e blogger, nonché traduttrice, critica d’arte, professora, mamma… insomma, una di quelle persone che ti piacerebbe essere.
Leggo che quando si riceve questo premio si deve...
 1) Trovare 10 blog meritevoli del premio
 2) Avvisare i blog premiati
 3) Raccontare 10 cose di me che non sapete

   
Procedo segnalando qualche blog in ordine sparso:

Craft-duck, il blog di una simpatica papera. Traduttrice, golosa, lettrice appassionata, craftomane.
L’odore buono del faggio, il cui detentore, padre di due ometti deliziosi e marito di un’insolita (così la immagino io, almeno) bibliotecaria, è stato già insignito dello stesso premio ma per un altro blog. E siccome io sono affezionata al blog intimo, quello familiare, lo segnalo.
Gialli e geografie, il blog di Nela San, blogger giallamente ferrata. Visitate il blog e capirete…
Il geniale blog di Giacinta. Musica, immagini e parole.
Guida alle panchine di Milano, per dare uno sguardo anche fuori dall’ufficio.
Idee sparse della pluripremiata Clode.
Corsi e ricorsi… per alimentare la voglia di correre e non solo.
Il laboratorio di critica d’arte e letteratura perchè la Spaccini merita il doppio premio.
Libri di donne perché anche se non l’ho mai detto a Cristina, la casalinga detentrice del blog, passo spesso da quelle parti.
Soffiando via la polvere perché Elena Petulia riesce a farmi sorridere anche in un giorno di pioggia.

10 cose di me che non conoscete (ma magari intuite):

 1 – 4 L’introduzione del post svela già parecchio, quindi parto direttamente dal punto
 5. Adoro pizza e gelato;
 6. Detesto fare shopping in compagnia;
 7. Amo girare tra le viuzze dei paesini, soprattutto alle prime luci della sera quando le voci che trapelano dalle case si mescolano al profumo della cena.
 8. Sono freddolosa.
 9. Odio guidare qualsiasi cosa, anche la bici.
10. Sogno ricorrente: partire.

venerdì 11 marzo 2011

Inquietudine

Sabato scorso, all’imbrunire, un paio di balordi hanno tentato di entrare nel nostro appartamento forzando la finestra della cucina. I due simpatici ometti di scuro vestiti non si son dati neppure la pena di verificare che in casa non ci fosse nessuno. Puntando sulla quantità e non sulla qualità degli appartamenti svaligiati, forti di un proficuo pomeriggio trascorso violando domicili altrui, prima di concludere la serata hanno pensato bene di fare una sosta nel nostro condominio. I signori del primo piano erano fuori casa; noi, invece, eravamo accoccolati sul lettino, ciascuno con il suo libricino tra le mani, la quiete che preclude il giorno di festa, le luci soffuse e la lavatrice che faceva la centrifuga.
Un rumore strano ha interrotto le nostre letture; il tempo di accendere la luce del corridoio e gli acrobati saltellando come in una cartone son volati giù. Ho avuto appena il tempo di vedere due di loro che correvano via lasciandomi incapace di emettere alcun suono. Ho guardato incredula il signor valigiesogni che con in mano un pezzo di legno scardinato dalla finestra continuava a ripetere: «Stavano per entrarci in casa». Solo dopo qualche minuto le mie gambe hanno iniziato a tremare ed ho pensato a cosa sarebbe potuto accadere se ci fossero piombati in camera da letto senza che ce ne accorgessimo. E ho pensato anche a tutte le notti in cui sono rimasta a casa da sola e alla tranquillità con cui, a volte, ho lasciato gli avvolgibili alzati ma le finestre aperte per far passar un po’ d’aria. «Tanto viviamo in un paesino così tranquillo…».
I carabinieri sono arrivati una quarantina di minuti dopo la nostra telefonata. Un po’ troppo, considerando che il Comando dista cento metri da casa nostra. Il povero carabiniere ne sapeva più di noi dato che aveva trascorso il pomeriggio a correre da un appartamento all’altro. «Signora, capisco lo spavento ma si può ritenere fortunata. Questi qui, oggi, hanno portato a casa un bel bottino. Televisori, stereo, gioielli, contanti, in un appartamento hanno sradicato la cassaforte dalla parete. Non erano solo due. Purtroppo noi abbiamo potuto far poco… Non è cattiva volontà ma – abbassa lo sguardo, quasi vergognandosi – loro sono professionisti, noi siamo pochi e senza mezzi. Il territorio è troppo esteso, i furti nelle villette più isolate sono frequenti, e il paese resta scoperto. Poi si verificano periodi come questi, con i furti in pieno giorno nelle zone centrali e noi non sappiamo più cosa fare. Le risorse sono quelle che sono, cercate di capirci…». Chissà perché sento l’eco delle parole del Presidente del Consiglio che da ragazzo sognava di fare il carabiniere. Si sarà reso conto delle condizioni in cui versa l’Arma?
Di tutta questa storia resta l’agitazione nell’aprire la porta di casa ogni sera e un rapido sguardo per verificare che tutto sia in ordine. Resta quell’inquietudine nel vivere la casa. Le luci accese, la radio accesa, il rumore che si sostituisce al silenzio del proprio rifugio. Resta il disagio nell’alzare l’avvolgibile per poggiare la spazzatura sul balcone e la costante sensazione che ci sia qualcuno là fuori. Resta il sonno spezzato, il dormiveglia che sostituisce il riposo. Restano i timori dei vicini, le ipotesi, il luogo comune che “tutti ‘sti stranieri che girano qui intorno”… e tu in quel luogo comune non vuoi caderci ma non puoi nascondere a te stessa che anche tu ci hai pensato.
È crollato il mio teorema: se non possiedi oggetti di valore, vivi sereno e nessuno verrà ad importunarti. Non avevo considerato il fattore “intanto vediamo quello che c’è e per farlo irrompiamo nelle vite altrui”. 
Tra qualche mese mi passerà perché non si può vivere nell’ansia perenne, però è amaro ingoiare questo miscuglio di rabbia e impotenza.

martedì 1 marzo 2011

Roma – Ostia

Ho iniziato a correre da ragazzina. Alle scuole medie, gli insegnanti di quella disciplina che allora si chiamava Educazione fisica (come l’avranno ribattezzata ora?) organizzarono una sorta di competizione tra gli istituti del comprensorio ed io venni reclutata per la corsa campestre. Mi allenai il tanto che bastava per non fare una pessima figura e ricordo che me la cavai egregiamente. Anzi, da allora mi prese la smania di andare a correre durante le vacanze estive. Solo nel periodo universitario, però, la corsa è diventata un’esigenza, il rimedio più efficace per affrontare i periodi stressanti. C’era chi prima di un esame si faceva di tranquillanti ed erbe varie (non scendo nel dettaglio) e chi, come me, indossava pantaloncini e scarpette ed iniziava a correre. Nella fase di nomadismo che ha preceduto questa vita stanziale, ho corso dappertutto: a Chimoio, in Mozambico, e sulle coste danesi, nei quartieri romani e nelle campagne ciociare. Correre per il piacere di correre.
Una domenica ventosa di otto anni fa, su un autobus romano, un ragazzino giocava con una bandierina che pubblicizzava la Roma-Ostia. «Nonno, ma quanto sono lunghi 21 chilometri?».
 «Tantissimi. Devi mangiare tanto e diventare tanto forte per poter correre così a lungo…».

“Va bene la passione, ma una mezza maratona deve essere un sacrificio immane! Bisogna essere un po’ matti per correre così tanto!”
Giuro, pensai proprio questo. Non dissi a me stessa: “Pensa che bel traguardo! Pensa quanta soddisfazione all’arrivo!”. No, pensai semplicemente che bisognava essere fuori di testa per correre Km 21,097.
Poi, non so bene cosa sia accaduto. So che le settimane in cui il lavoro non mi permetteva di andare a correre, perché uscivo troppo presto e tornavo troppo tardi, mi innervosivo come poche altre volte in vita mia. La corsa è diventata sempre più una valvola di sfogo e la palestra, che prima adoravo, si è trasformata in un ripiego per i mesi in cui era troppo complicato gestire l’attività all’aperto. Così è successo che quando l’anno scorso mi è stato proposto di iniziare a gareggiare, ho subito accettato. 
È andata a finire che domenica scorsa ho corso la mia prima mezza maratona. La mia prima Roma – Ostia.
Mentre mi avvicinavo alla griglia di partenza, continuavo a ripetermi che solo una un po’ matta poteva affrontare una mezza con l’allenamento inesistente che ha caratterizzato questi ultimi tre mesi. Ho pensato che era solo un test. Volevo solo correre fino alla fine, non importava il tempo impiegato.
Invece, ho corso sotto le due ore, con ritmo costante e ho perfino aumentato la velocità nei chilometri finali.     
 
Insomma, che devo dirvi? Una bella soddisfazione.