mercoledì 17 luglio 2013

La cultura si mangia! Un’idea di bookcrossing…

Iniziò tutto da qui: Stefy, libraia e blogger di Odore intenso di carta ci chiedeva cosa dovrebbe avere una libreria per farcela prediligere alle tante (sempre meno, in verità) presenti sul territorio. E in parecchi risposero.  
Il post era solo un pretesto per avviare, per dirla con le sue parole, un’idea da tempo in cantiere: un bookwebcrossing, un bookcrossing tra blogger lettori.
Così, dopo poco tempo, mi son vista recapitare un pacchetto profumoso contenente il libro scritto da Pietro Greco e Bruno Arpaia “La cultura si mangia!”, editore Guanda.
Il profumo non proveniva ovviamente dall'omino delle Poste ma dalla finezza dell’amica blogger che aveva inserito all'interno del libro una letterina scritta a mano, avente un buon profumo. Una di quelle d’altri tempi che credevi scomparsa. Bello, no?

Un’idea generosa quella di Stefy, capace di coniugare lo strumento virtuale (il suo blog) con la condivisione materiale dell’oggetto libro. Ed arrivano con impeto l’odore intenso di carta, le sottolineature, i commenti a margine… Così, sembra quasi di esserci uscita insieme con questa lettrice che non hai mai incontrato di persona. 
Per quanto mi riguarda, ho un rapporto conflittuale con il bookcrossing: non sempre (anzi, quasi mai) riesco a liberarmi dei libri che mi son piaciuti. È più probabile che ne compri una copia nuova e che la regali prima di lasciar andare la copia vergata, che sa di treno, avente i segnalibri più disparati (dalla cartolina appena ricevuta allo scontrino del bar).    

La cultura si mangia!” è giunto in un periodo particolare, uno di quelli in cui vorresti poterti ritirare a vita privata in una caverna per un annetto; vabbè la caverna no; però prenderti un anno sabbatico da tutto e tutti magari sì. Piena di dubbi sull'utilità di ciò che svolgi e divisa tra ciò che predichi e la tua sottomissione al sistema, ti trovi a leggere che:
[…] l’ex ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha sostenuto che per i laureati non c’è mercato e che la colpa della disoccupazione giovanile è dei genitori che vogliono i figli dottori invece che artigiani. Sapesse, contessa... E il filosofo estetico Stefano Zecchi, in servizio permanente effettivo nel centrodestra, ha chiuso in bellezza, come del resto gli compete per questioni professionali: ha detto che in Italia i laureati sono troppi. Insomma, non c’è dubbio che la destra italiana abbia sposato la cultura della non cultura e (chissà?) magari già immagina un ritorno al tempo dell’imperatore Costantino, quando la mobilità sociale fu bloccata per legge e ai figli era concesso fare solo il lavoro dei padri. (Non lo sapeva, professor Sacconi? Potrebbe essere un’idea...)
E la sinistra o come diavolo si chiama adesso? Parole, parole, parole. Non c’è uno dei suoi esponenti che, dal governo o dall'opposizione, non abbia fatto intensi e pomposi proclami sull'importanza della cultura, dell’innovazione, dell’istruzione, della formazione, della ricerca e via di questo passo, ma poi, stringi stringi, non ce n’è stato uno (be’, non esageriamo: magari qualcuno c’è stato...) che non abbia tagliato i fondi alla cultura, all'innovazione, all'istruzione, alla formazione, alla ricerca e via di questo passo. Per esempio, nel programma di governo dell’Unione per il 2006 si diceva: «Il nostro Paese possiede un’inestimabile ricchezza culturale che in una società postindustriale può diventare la fonte primaria di una crescita sociale ed economica diffusa. La cultura è un fattore fondamentale di coesione e di integrazione sociale. Le attività culturali stimolano l’economia e le attività produttive: il loro indotto aumenta gli scambi, il reddito, l’occupazione. Un indotto che, per qualità e dimensioni, non è conseguibile con altre attività: la cultura è una fonte unica e irripetibile di sviluppo economico».
Magnifico, no? Poi l’Unione (o come diavolo si chiamava allora) vinse le elezioni e andò al governo. La prima legge finanziaria, quella per il 2007, tagliò di trecento milioni i fondi per le università. Bel colpo. Ci furono minacce di dimissioni del ministro per l’Università e la Ricerca, Fabio Mussi. Ma le minacce non servirono. Tant’è che, nella successiva legge di bilancio, furono sottratti altri trenta milioni dal capitolo università a favore... degli autotrasportatori. […]

E si va avanti di questo passo.
Si dà il caso che io lavori in un’associazione di categoria datoriale proprio di quel settore lì, e non passa giorno in cui non ci si vanti del fatto che i benefici fiscali per gli autotrasportatori vengono riconfermati dal Governo di anno in anno. Già, e chi ne fa le spese? Tanto, come fa notare il signor valigiesogni, i figli dei miei responsabili frequentano scuole private e, presumibilmente, domani frequenteranno college prestigiosi, mica la scalcagnata università di Borghettodietrol’angolo??
Poi, per carità, molti dei discorsi fatti nel libro sono troppo aleatori e forse non tutto è di così facile applicazione come potrebbe sembrare. Certo è che la classe politica, nello stanziare risorse e decidere tagli, compie scelte precise e così, ad occhio, non mi sembra che lo Stato negli ultimi venti anni abbia promosso il cambiamento della specializzazione produttiva del nostro paese. Sarò stata distratta io, ma non ho visto scelte che abbiano favorito gli investimenti privati in ricerca e sviluppo. Nelle varie Agende, tanto di moda, non ricordo di aver sentito parlare di riqualificazione dell’ambiente fisico, di estensione di zone alberate e bonifiche di aree inquinate; di miglioramento del clima sociale e culturale, della necessità di puntare su nascenti imprese, piccole e medie, ma altamente qualificate e specializzate nelle nuove tecnologie e nell'industria creativa. Pare abbiano fatto questo nella Ruhr, Germania, anni Novanta, per riqualificare una regione industriale fallita dopo la chiusura di acciaierie e miniere.
Da noi, invece, il massimo della creatività sta nel finanziare la sagra della porchetta che, con tutto il rispetto per la porchetta, non è l’attività principale verso cui andrebbero dirottati i fondi degli enti locali.
Investire  in cultura, innovazione, creatività, dà certezze di miglioramento per un Paese? Certo che no, è un rischio. In questi ultimi anni, neppure investire nella Fiat o in Alitalia dava certezze; eppure è stato fatto. Ed evito di soffermarmi sul come, il perché e i risultati raggiunti…
Fine dei dieci minuti di sangue amaro.
Per saperne di più sul libro


Per tornare all'ottima idea del bookwebcrossing, amici blogger, questo libro ha da girare! Accorrete numerosi!

lunedì 15 luglio 2013

Di una serata d'estate e del potere evocativo della musica


Vi sarà capitato di trovarvi in un posto e, senza nessun preavviso… puf! essere catapultati in luoghi e situazioni di cui avevate completamente perso la memoria. Una roba proustiana, senza l’ausilio della madeline.
A me è successo venerdì sera. Ero alla casadel jazz di Roma, mia recente scoperta, ad ascoltare un concerto strepitoso di Carmen Souza, di cui, per dirla tutta, fino a pochi giorni fa non sapevo assolutamente nulla. Fissata come sono per la cultura lusofona, quando ho letto di una musicista che mescolava suggestioni di Capo Verde con la saudade portoghese, ho dovuto acquistare il biglietto.
Serata calda, seduta nel parco della casa del jazz, ascolto questa donna dalla voce possente e l’abito sgargiante, accompagnata dal basso incredibile di Theo Pas'cal.
Colore, allegria e stupore del mio primo funerale zambiano. Avevo dimenticato i canti che accompagnano i funerali in alcune zone d’Africa. Una festa. Io ero rimasta interdetta sul ciglio della strada chiedendomi dove si dirigessero quelle persone, ballando e cantando dietro un paio di pickup che procedevano a passo d’uomo.
«É un funerale», aveva sussurrato la dottoressa “Happy”, un medico italiano che mi trascinava fuori dalla gabbia dorata di Lusaka, in cui mi trovavo in quei mesi, per farmi vedere lo Zambia vero. Un funerale. Non erano tutti così festosi. Dopo qualche tempo non ci avrei più fatto caso. E poi li avrei rimossi.

La serata è calda. Sorseggio una birra e aripuff! Mi ritrovo in un altro concerto, musica rock, stadio Olimpico, nove anni fa. Anche quella sera faceva un gran caldo. Anche quella sera avevo una birra in mano. La mia prima ed unica volta all'Olimpico ed io non ci ho più pensato per anni a quella sera lì. Pochi giorni fa ho detto addirittura di non esser mai stata all'Olimpico. E ne ero certa. Invece no, ci sono stata. Era stata anche una serata memorabile; ma poi l’ho completamente cancellata. Ed ora è riemersa, limpida, come fosse accaduto ieri, con una serie di ricordi che a stento riesco a frenare.  


Poi Carmen Souza si siede al pianoforte, mette da parte i ritmi africani, e si diletta in una bella versione di “My favorite things”. Ed io torno lì, Roma, casa del jazz, anno 2013. E mi godo la restante parte del concerto; ma quella punta di saudade per cose passate, cose sospese, fantasie sognate e irrealizzate, mi accompagna per il resto della serata.