giovedì 14 agosto 2014

Eredità


EreditàLilli Gruber, Rizzoli.

Negli ultimi mesi, per una serie di vicissitudini, lo zaino non s’è mosso da casa. Sono arrivata ad agosto con tanta voglia di spegnere il cellulare, resettare la sveglia, dimenticarmi del capo, della banca e delle lamentele quotidiane. Voglio silenzio e tempo per riflettere. Voglio il verde e i sentieri da percorrere. Alle ferie manca ancora qualche giorno ma io mi sento già proiettata verso la Valle Aurina, “una della valli più incontaminate di tutto l’Alto Adige– Südtirol”, promette Wikipedia. Staremo a vedere.
Così, sono stata costretta ad acquistare un paio di libri, tanto per farmi un’idea di questa cosa un po’ italiana-un po’ tedesca. Non sono tra le fan sfegatate della Gruber: è una donna di polso, ne apprezzo l’energia e la determinazione. Qualche volta, però, la trovo un po’ arrogante e anche un po’ gelida. In questo libro, invece, scopro una voce emozionata, in alcune pagine mi sembra di scorgere perfino l’occhio lucido del celebre mezzobusto che ancora fa sospirare il coniuge. [Io: “Sapevi che la Gruber è sposata dal luglio 2000?” Lui: “Come dimenticarlo? Un giorno di lutto…”
Io: “Perché? Che è successo?” Lui: “Si è sposata la Gruber, l’hai appena detto! Una delle poche donne di cui ero segretamente innamorato”. E non credo sia stato il solo].
Cosa sapevo del Trentino-Alto Adige? Che è una regione a statuto speciale, con due province autonome, con monti e vallate strepitose e con una serie di vicissitudini storiche che hanno visto l’aera passare da un governo all’altro fino ad arrivare nel 1918 all'annessione al Regno d'Italia a seguito della sconfitta dell’Austria nella Prima guerra mondiale. Dall’esame di storia contemporanea ricordavo vagamente il nome di qualche Trattato e un paio di date. Nella mia beata ignoranza, “Trentino” era il diminutivo di Trentino-Alto Adige (e in Trentino, da solo, senza Alto Adige– Südtirol, ci sono già stata una volta, quindi doppiamente ignorante).
Recitato il mea culpa, da Eredità non potevo che scovare una miriade di informazioni di cui ero completamente digiuna. La nascita della questione altoatesina è riconducibile alla fine della prima guerra mondiale e alla sconfitta dell’Austria: il confine tra Italia e Austria venne portato al Brennero e l’attuale Sudtirolo, abitato da popolazione di lingua tedesca, passò sotto la sovranità dello Stato italiano. Il libro della Gruber parte proprio dalla “lacerazione”.
Rosa ha il cuore pesante. Seduta nel salone della sua grande casa, fissa le pareti rivestite di legno. La catastrofe infine è accaduta.
[…] Aggiunge la data “novembre 1918”. Non ha bisogno di essere più specifica. Per lei l’intero mese significa infelicità: ha portato sconfitta e una dolorosa lacerazione [...]
L’Austria è smembrata, il nostro caro Tirolo diviso, noi poveri sudtirolesi siamo finiti sotto il dominio dei Welschen [italiani]. Ma continuiamo a sperare e a sopportare, non vogliamo far parte per molto di questa nazione, il nostro cuore e la nostra mente rimarranno tedeschi in eterno. 
 
Rosa Tiefenthaler
La Gruber prende spunto dal ritrovamento del diario della sua bisnonna, Rosa Tiefenthaler, morta nel 1940, figura leggendaria della famiglia, per raccontare la sua Heimat, qualcosa più della Patria. Una parola che racchiude le sensazioni dell’infanzia, il luogo degli affetti, della famiglia, delle origini. Il diario di Rosa inizia nel 1902 e termina nel 1939, anni dolorosi che spiegano le tensioni tuttora presenti nella regione. 
Come la stessa Gruber evidenzia, Eredità non è un libro di storia, né un saggio. Ma dalla quotidianità delle persone comuni, dalle loro voci, dai loro racconti emerge la Storia. I nomi dei trattati e le date si dimenticano facilmente ma i racconti trovano uno spazio difficile da rimuovere dalla nostra memoria.
A prevalere, alla fine della prima guerra mondiale, furono le ragioni militari e strategiche. Di fatto non c’era nessuna valida ragione all’annessione del Sudtirolo, paese austro-tedesco per cultura, lingua e nazionalità, al Regno d’Italia. All’errore commesso nel 1919 seguì la politica di snazionalizzazione da parte del regime fascista, che si impegnò nella rieducazione culturale dei sudtirolesi. Venne proibito l’insegnamento della lingua tedesca, vennero italianizzati nomi di persone, cognomi, tutti i toponimi in lingua tedesca…
La resistenza sudtirolese al fascismo fu tenace. E ne troviamo diversi esempi nella famiglia Tiefenthaler – Rizzolli (Rosa sposò all’inizio del 900 Jakob Rizzolli). La più piccola delle figlie di Rosa, Hella, fu insegnante nella rete delle scuole clandestine (Katakombenschulen), aventi lo scopo di mantenere viva la conoscenza della lingua tedesca anche tra le giovani generazioni. La bella e sovversiva Hella che distribuisce opuscoli per mobilitare i sudtirolesi, per boicottare i prodotti italiani, per impedire che gli italiani giunti in Tirolo, per volere di Mussolini, lavorino nelle aziende sudtirolesi. Hella, che finisce al confino nel profondo sud: Castelluccio Inferiore, Basilicata. Un paese straniero. Hella che, come molti sudtirolesi, prende un abbaglio micidiale: s’innamora del nazismo, crede ad Hitler, non lo vede come un pericolo. È certa del fatto che, grazie al Führer, il Sudtirolo potrà essere annesso al grande Reich tedesco e i sudtirolesi torneranno ad essere padroni in casa propria. 
 
Hella partecipa al Congresso di Norimberga del 1936 e scrive alla sorella Gusti:
Io sedevo nella tribuna principale, vicinissima al Führer, tanto che non sapevo se guardare sul campo o fissare il mio amato Führer, a cui il cuore batteva in petto dalla gioia di fronte alla grande opera che ha creato di sua mano… Non si finisce mai di ammirarlo, dove trova la forza di fare tutto questo, di lavorare giorno e notte senza un attimo di riposo?”

Se non avessi letto la ricostruzione degli eventi di quegli anni da parte della Gruber non avrei capito le ragioni dei sudtirolesi. Non avrei capito i risultati né le conseguenze del cosiddetto Patto delle Opzioni (l’accordo tra Mussolini e Hitler, siglato nel 39, che stabiliva che tutti i tedeschi e i ladini della province di Bolzano, Trento e Belluno avrebbero dovuto optare per la cittadinanza tedesca, con l’obbligo dell’espatrio, o restare in Italia, conservando la cittadinanza italiana senza il diritto alla tutela etnica). Il 75% dei tedeschi della provincia di Bolzano optò per il Reich. Erano pronti a lasciare i loro masi, le loro terre, erano pronti ad abbandonare tutto pur di veder riconosciuto il diritto alla cittadinanza tedesca. 

 
Il libro della Gruber si chiude con la morte di Rosa, nella sua Pinzon, nel 1940. Dei suoi sei figli le è rimasta accanto solo colei che sarebbe diventata la nonna della Gruber, Elsa, e Josef, unico maschio ed erede. Tutti gli altri avevano optato per le promesse del Führer. Rosa sarebbe felice di sapere che, anche grazie a quel diario, qualcuno ha raccontato la travagliata storia della sua famiglia.

martedì 5 agosto 2014

La famiglia Aubrey


La famiglia AubreyRebecca West, traduzione di Francesca Frigerio, Mattioli 1885.



Il periodo “smaltimento libri accumulati” procede quasi senza intoppi (le piccole defezioni hanno una valida giustificazione, giuro). Acquistai La famiglia Aubrey  al Salone del Libro di Torino un paio di anni fa. Non so perché lo feci; non credo fosse per la recensione di Baricco, ripubblicata in questa raccolta e letta solo di recente. Ricordo che andai con convinzione allo stand della Mattioli 1885 e iniziai a maneggiare i libri relativi alle fortificazione della seconda guerra mondiale (il coniuge in quel periodo era andato in fissa per i luoghi della guerra). Poi, non so come fu, mi colpì la copertina di questo libro di Rebecca West, mi dimenticai della Linea Maginot, capii che La famiglia Aubrey  era il primo volume di una trilogia, interruppi il pranzo del timido omone, che approfittava di un momento di tregua per strafogare un panino, pagai e andai via senza sapere esattamente cosa avessi acquistato. Tutta colpa della copertina dai bordi arrotondati.
Ho iniziato a leggerlo all’inizio di luglio. Dopo le prime 50 pagine ho pensato di aver buttato 20 euro. Dopo un paio di giorni ho pensato che questa faccenda dello “smaltimento libri acquistati” mi sta stretta: qui bisogna procurarsi gli altri due volumi della saga familiare.
Gran Bretagna d’inizio Novecento, la signora Clara Keith con le tre bambine e il piccolo Richard Quin lascia Edimburgo per raggiungere il marito a Londra. È solo uno dei tanti traslochi di una famiglia sui generis,  in balia dei colpi di testa del signor Piers Aubrey, padre assente, troppo impegnato in fallimentari speculazioni economiche per garantire una qualche stabilità a moglie e figli.
La quotidianità narrata dalla sorella Aubrey più vivace, Rose – Rebecca West,  procede come un andante moderato che di tanto in tanto sfocia in un presto per poi scivolare in un adagio. È un romanzo musicale, non solo perché la musica permea la vita della famiglia ma perché è scritto in modo fluttuante, delicato. Le giornate scorrono lente, tra un tè e una zuppa. Le esercitazioni al pianoforte, le corde del violino straziate da Cordelia e le discussioni su come vada interpretato un Notturno in Fa di Chopin riempiono gran parte del romanzo. Prima di sposarsi, Clara è stata una celebre pianista e le due figlie, Mary e Rose, hanno ereditato il suo talento e la sua determinazione. Richard Quen ne ha ereditato l’orecchio senza la costanza mentre la povera Cordelia, primogenita, ha solo la testardaggine di voler riuscire senza, ahinoi, alcun talento. 


La quotidianità viene spezzata da eventi drammatici, tipo l’improvvisa dipartita del capofamiglia (no, non muore; si limita  a sparire dalla sera alla mattina), qualche fenomeno paranormale e, più banalmente, un omicidio. Tutti episodi che vengono liquidati con poche righe, cancellati dall’urgenza della colazione, del tè del pomeriggio, dell’ora di cena.  
Rebecca West, pseudonimo di  Cicely Isabel Fairfield, nata a Londra da genitori di origini scozzesi e irlandesi, dopo aver tentato la carriera di attrice, fu giornalista, viaggiatrice, attivista politica, scrittrice, ragazza madre (che parola d’altri tempi). Donna spigolosa, senza peli sulla lingua, esercitò fino a 90 anni il diritto di esprimere liberamente la propria opinione, a costo di essere considerata blasfema. Mi piacerebbe poter leggere le recensioni letterarie che scrisse per il Times e per il Sunday Telegraph.  Immagino righe graffianti e giudizi severi. Una che alla domanda: “Do you admire E. M. Forster?” risponde tranquillamente “No. I think the Indian one [A Passage to India] is very funny because it’s all about people making a fuss about nothing, which isn’t really enough.” E alla domanda: “What about the work of Somerset Maugham, whom you also knew?” risponde altrettatanto seccamente:  “He couldn’t write for toffee, bless his heart. He wrote conventional short stories, much inferior to the work of other people. But they were much better than his plays, which were too frightful. He was an extremely interesting man, though, not a bit clever or cold or cynical”… [Eresia, eresia. Io adoro Maugham. Dite che è davvero così conventional??]
Se ciò non bastasse, nell’illuminante intervista pubblicata su the Paris Review, la West afferma: “I really don’t see War and Peace as a great novel because it seems constantly to be trying to prove that nobody who was in the war knew what was going on. Well, I don’t know whoever thought they would—that if you put somebody down in the wildest sort of mess they understand what’s happening”.
Ma uno può dichiarare candidamente che Tolstòj  è sopravvalutato senza finire all’Inferno?

Nella Famiglia Aubrey c’è un’attenzione maniacale a ciò che le mani dicono, a dove vengono riposte, alla gestualità. Quindi, non mi sono stupita nel leggere: “You said once that all your intelligence is in your hands”. Risposta: “Yes, a lot, I think. Isn’t yours? My memory is certainly in my hands. I can remember things only if I have a pencil and I can write with it and I can play with it”.
La West era una scrittrice accurata, che lavorava molto sulla scelta delle parole, sulla scrittura e riscrittura, come evidenziato nell’appendice e nella bella postfazione di Francesca Frigerio (benedetti sempre siano i bravi traduttori!). Peccato che la Mattioli 1885 si sia persa in una serie di refusi lasciati qua e là. Piccoli errori di battitura che rendono meno perfetto questo volume.