giovedì 24 novembre 2016

La prima verità, Simona Vinci

Che La prima verità sia un libro tosto si capisce sin dal primo prologo. Anzi, se avessi avuto più familiarità con la poesia l’avrei intuito già dal titolo, che riprende un verso del poeta Ghiannis Ritsos, poi riportato in esergo:

Il cielo è sette volte azzurro. Questa purezza
È di nuovo la prima verità, il mio ultimo desiderio.

Non è un libro semplice da raccontare e neppure da leggere: un intreccio di vicende che spaventano, il desiderio di stringere gli occhi, scansare il volume e passar ad altro che ce n’è tante di storie in libreria. Eppure non riesci a staccarti dalla pagina. Per capire le motivazioni che hanno spinto Simona Vinci ad esplorare i diversi volti della follia, dai bambini ineducabili alle atrocità degli istituti psichiatrici, bisogna arrivare quasi alle pagine finali, ai mattucchini di Budrio (il paese alle porte di Bologna in cui la Vinci è cresciuta e abita tutt’ora) e alle vicende personali dell’autrice. Mattucchini dà l’idea di un gruppetto di ragazzi spiritosi e scanzonati, quanto di più lontano possa esserci dai due istituti psichiatrici che alla fine degli anni ‘70 ospitavano a Budrio circa seicento pazienti tra dementi tranquilli, dementi agitati, disadattati sociali di vario tipo, psicotici, orfani, alcolisti. Ma quando arrivo alla realtà italiana, dopo quasi trecento pagine trascorse nel manicomio lager dell’isola di Leros, Grecia, penso che il romanzo non possa riservarmi atrocità peggiori di quelle già viste.

Alex Majoli, L'interno dell'ospedale psichiatrico, Leros 1994 -MagnumPhotos

Ho impiegato un po’ per togliermi dagli occhi i malati di mente spediti a Leros da tutta la Grecia, i bambini pericolosi per sé e per gli altri, le ragazze ammattite dopo gli stupri subiti da piccole da chi avrebbe dovuto proteggerle, le botte inflitte, i denti rotti. Fa specie, ora, leggere in rete frasi tipo “un’isola per intenditori, godetevi una vacanza rilassante tra le dolci colline verdi e le incontaminate baie di Leros”. Fa specie pensare che fino a pochi anni fa “l’isola per intenditori” era, invece, l’isola dei pazzi.
Durante l’occupazione italiana, Mussolini vi costruì una grande base militare, poi riconvertita nel 1958 dal governo greco in un unico “ospedale” psichiatrico che doveva ospitare tutti i malati di mente della Grecia. Peccato che a prendersi cura degli “ospiti” non vi fossero medici e personale qualificato ma gli isolani, gente che fino a poco prima aveva gestito un emporio, fatto il pescatore, era disoccupata.
Durante la dittatura dei colonnelli, ai matti di Leros si unirono i dissidenti politici, i liberi pensatori, i comunisti: chiunque si opponesse al regime veniva deportato e diligentemente torturato nell’isola manicomio.
La follia di Leros (in tutti i sensi) venne alla luce grazie ad un articolo pubblicato dall’Observer nel 1989; lo scandalo internazionale che ne derivò portò all’intervento di un gruppo di allievi basagliani (rappresentati nel romanzo dalla laureanda triestina Angela Donati) e alla chiusura dell’istituto alla vigilia dell’ingresso della Grecia in Europa.

Foto di Antonella Pizzamiglio, tratta dal volume "Leros. Il mio viaggio".

La prima verità è un libro che fa male e spaventa. Spaventa perché sai che c’è finzione ma temi che la realtà possa esser stata più crudele, più terribile dell’immaginazione. E spaventa ancora di più l’idea che forse in alcuni posti è ancora così.

Tutti i malati di mente, i pazzi, i diversi, gli inquieti, i maniaci, gli psicopatici, gli ansiosi, i depressi, i suicidi, i morti in vita, i mostri, i mattucchini del passato sono qui.
Ognuno racconta i suoi bisogni, e i sogni, gli incubi, i desideri, la sua versione dei fatti e hanno tutti ragione perché una prima verità non esiste da nessuna parte.
È tutto vero, anche quando non lo è.   


Cara Einaudi, tu che tutto sei tranne che una piccola casa editrice, di fronte ad un testo così denso, avresti potuto eliminare qualche sciatteria, ma, soprattutto, avresti potuto prestare più attenzione ad un paio di dettagli. Può una bottiglia andare in frantumi a pagina 81, producendo un rumore che non smetteva di riverberare nella stanza (al punto da farmi girare per controllare che non si fosse svegliato pure il coniuge), per poi tornare intatta, due pagine dopo, così da poterci infilare tutti i fogliettini e tapparla come nulla fosse? Cara Einaudi, La prima verità resta un romanzo bellissimo e queste disattenzioni non mi faranno certo smettere di leggere i libri da te pubblicati; però sarebbe gradita una maggiore cura.   

Simona Vinci, La prima verità, Einaudi Stile libero, 2016. 



3 commenti:

  1. Chiunque scriva libri o li pubblichi vorrebbe lettori come te :)

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    1. Detto da una lettrice vorace come te, è un gran complimento😊.
      Non avevo mai letto nulla della Vinci ma sono rimasta folgorata dalla sua scrittura. Non che stia molto dietro ai premi, però devo riconoscere che il Campiello è stato assegnato ad un gran bel libro.

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  2. Prima che ti dia il mio commento a questo post, ti passo qualcosa, segnalato dell'amica C. Che ti piacerà e che, non a caso, ti segnalo proprio qui:
    http://www.raiplay.it/video/2016/11/AMABILI-TESTI-6c9823b2-1a65-4d4d-a76e-179023f1bc4a.html

    Detto questo, arrivo al dunque: so che la Vinci è scrittrice brava ma spesso angosciante, è un argomento che in qualche maniera mi ha fatto spesso riflettere e ricordo bene il referendum per chiudere quei luoghi (la città in cui sono nata, Imola, ne aveva molti, tanto da essere chiamata "la città dei matti"). Sono certa che abbia scritto un libro crudo, come è nel suo stile e come non può essere altrimenti affrontando un tema così impegnativo e su cui vorremmo chiudere gli occhi e girarci dall'altra parte. A Imola, questo, forse era possibile perché i muri impedivano la vista, ma l'udito, a volte, riusciva a scavalcare muri e sentire grida di lamenti. Difficile da dimenticare.

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